Cultura

Il professore statunitense alla consegna dei diplomi: “Ragazzi, non siete speciali!”

Il discorso di David McCullough jr, docente di letteratura inglese, è diventato virale sul web con oltre due milioni di visualizzazioni: "Non siete eccezionali. Certo, siete stati viziati, coccolati, protetti. Siamo stati alle vostre partite e alle vostre recite. Ma non provate a pensare di essere speciali, perché non lo siete". Ora l'intervento dell'insegnante è diventato un bestseller internazionale sull'importanza dell'accettazione della propria normalità

di Elisa Murgese

“Ragazzi, non siete speciali”. È con queste parole che David McCullough jr, docente americano di letteratura inglese, è intervenuto durante la cerimonia di consegna dei diplomi. “Nessuno di voi è speciale. Non siete eccezionali. Certo, siete stati viziati, coccolati, protetti. Siamo stati alle vostre partite e alle vostre recite. Ma non provate a pensare di essere speciali, perché non lo siete”. Era l’estate del 2012 e il suo discorso alla Wellesley High School del Massachusetts aveva colto impreparati genitori e studenti. Ripreso da qualche alunno, il suo monito a “riconoscere di non essere speciali perché le più dolci gioie della vita arrivano proprio da questa consapevolezza” era diventato un video virale su YouTube, visualizzato da oltre due milioni di persone. Da qui la scelta di scrivere il libro “Ragazzi, non siete speciali! E le verità che non sappiamo più dire ai nostri figli”, in Italia edito da Garzanti e tradotto da Roberto Merlini.

Un bestseller internazionale con una genesi particolare nata proprio da quell’intervento in cui McCullough svelava ai suoi neo diplomati che per costruire una vita straordinaria si deve passare dall’accettazione della propria normalità, senza sentirsi particolari “solo perché centinaia di persone ansimano deliziati ad ogni vostro tweet”. E rispetto alla diffusione dei social media e della società dell’apparire, il professore dedica nel suo saggio diverse parti a come spingere i giovani a smettere di vivere per farsi vedere dagli altri. “Scalare la montagna non per piantarci la vostra bandiera – si legge nel volume – ma per vincere la sfida. Scalatela per vedere il mondo, non per farvi vedere dal mondo”.

Con la sua prosa diretta e a tratti ironica, il libro è diventato un manifesto sull’educazione per spingere le nuove generazioni a smettere di preoccuparsi delle gratificazioni materiali e scegliere invece di sognare in grande, studiare e impegnarsi nel presente. “Non sprecatevi in lavori in cui non credete più di quanto fareste con un coniuge che non amate” aveva detto McCullough nel discorso ai suoi studenti. Qual è quindi il segreto più importante da trasmettere ai propri figli? Leggere, la passione verso il sapere. “Leggete tutto il tempo, come rispetto per voi stessi. Per realizzare quanto poco sapete. I libri sono un ostacolo alla persistenza della stupidità”. Una ricetta che secondo l’insegnate di letteratura, che ha lavorato per oltre trent’anni in diverse scuole americane, è anche alla base dell’educazione scolastica, che dovrebbe smettere di guardare a meri riconoscimenti ma spingere verso l’euforia dell’apprendimento.

Ciò che importa è il percorso, non il voto: questo è stato detto da molti. Ma il consiglio che dà McCullough ai professori è di imparare a porre le domande giuste e non chiudere la mente dello studente con una sola risposta. “Quando gli alunni capiscono che dietro la domanda c’è dell’altro, in loro si accende la luce del pensiero e al contempo ridefiniamo la nostra avventura insieme – ha precisato l’autore al Festival della mente di Sarzana – Qual è la metà di otto? Quattro. Ma anche ‘ot’. Oppure ‘to’”. “Poi ci sono le classifiche: metà di voi divorzierà”. Non manca di cinismo McCullough nel suo saggio per mettere di fronte ai ragazzi l’idea che dobbiamo perfezionare la nostra abitudine alle sconfitte ma anche alle sfide, perché “non è con i soldi della mamma ma con la fatica che si arriva a essere soddisfatti”. Una visione che per il professore dovrebbe essere tenuta a mente tanto dai giovani quanto dai genitori “che spesso pretendono troppo dai loro figli”. In fondo, se tutti ricevono un trofeo, i trofei diventano insignificanti. “Se tutti sono speciali, nessuno lo è”. Ma forse è vero il contrario, conclude il professore americano: “Non siete speciali, perché tutti lo sono”.

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