Dalla notte degli Oscar, dalla viva voce di Patricia Arquette, al discorso di Christine Lagarde, presidente dell’Fmi (fondo monetario internazionale), è tutto un gran chiedere parità di salario tra uomini e donne. Lagarde parla addirittura di un complotto contro le donne e io mi chiedo come sia possibile che proprio chi sta in cima a così grosse strutture del potere economico mondiale, al di là della presenza rosa che garantisce un inequivocabile pinkwashing a colorare l’Fmi di bellezza e meraviglia, pronunci parole così ipocrite nei confronti delle donne.
E’ il biocapitalismo che rende i corpi delle donne succubi di un progetto utile alla natalità delle nazioni, mentre i figli delle zone povere vengono tenuti lontani a far gli schiavi nei propri territori, per conto di organizzazioni e imprese dell’Occidente ricco, e sono i soldi l’unico interesse di chi esige che le donne restino in casa ad adempiere ai ruoli di cura, perché in ogni nazione che si rispetti, dove la scelta governativa è stata quella di smantellare lo stato sociale, in favore di privatizzazioni e speculazioni selvagge sui servizi, le donne sono, oggi più che mai, l’ammortizzatore sociale per eccellenza.
Se non lo sono nei propri Paesi quei corpi sono obbligati a migrare e vengono schiavizzati, con la promessa di un futuro migliore, per badare ai figli e ai vecchi delle emancipate signore occidentali. Se la parità di salario, mentre il lavoro manca per tutti, viene rivendicato per le donne “americane”, ci sono tante donne provenienti da altri Paesi, le messicane, le peruviane, le russe, le ucraine, le mediorientali, le nordafricane, che sono lì apposta a crescere i figli delle altre.
La schiavitù dei corpi delle donne oggi comincia da questo e mi sembra ipocrita che proprio chi ha in mano il destino economico delle nazioni povere, scegliendo quella a cui destinare i fondi anziché no, ovvero chi determina le condizioni affinché vi siano donne obbligate a migrare, a mollare le proprie famiglie, i propri figli, come le donne vittime della tratta ottocentesca, parli oggi di parità di salario.
Prima di questo c’è da sistemare la parità dei diritti per chiunque, donne, uomini, persone. C’è da colmare il gap tra paesi poveri e quelli ricchi. C’è da rimettere a posto il mondo intero affinché la ricchezza di uno non diventi la povertà dell’altra. Perché io, donna, non voglio essere alibi, complice, a legittimare lo scempio che distrugge la vita di tante persone nel mondo. Io non voglio essere lo strumento che alcune donne, quelle che stanno in cima ai luoghi di potere economico del mondo, hanno il potere di usare, così come usano le belle e nobili cause, per farci dimenticare che tra me e loro, tra me precaria e donne come la Lagarde, c’è una differenza abissale. Si chiama differenza di classe, prima di ogni altra cosa.
Di questa differenza non è di moda parlare la notte degli Oscar e neppure nei discorsi della capa dell’Fmi. Allora io non trovo ci sia nulla di fantastico in quel che ho ascoltato e letto in questi giorni a proposito di presunte parole femministe in bocca a chi le avrebbe pronunciate in luoghi altrimenti inaccessibili. Perché il femminismo, così pronunciato, è un brand. Quelle parole d’ordine sono state scippate ad una lotta vera, decontestualizzata da una più ampia battaglia per la parità di diritti economici per tutti, per essere rivisitate per dare una immagine positiva delle strutture di potere che impoveriscono il mondo.
Perché “donna” è un brand e la cosiddetta lotta per la parità è diventata un circo buono per speculazioni di ogni tipo. Una meta assistenzialista in cui le donne ricche fanno neocolonialismo nei confronti di donne povere, senza sapere che i soldi che si trovano a gestire sono spesso macchiati di sangue. Come il denaro che si guadagna per le ricostruzioni delle città bombardate, o quello che si guadagna grazie alle risorse fottute a chi è più povero.
Potete perciò tenervi la parità di salario, perché qui stiamo al livello in cui né gli uomini e né le donne hanno un lavoro. Non c’è stipendio e se anche ci fosse non sarebbe equo per nessuno. Semmai l’equità è da stabilire tra chi si arricchisce massacrando i diritti dei lavoratori, con la complicità di governi che fanno schifo, e chi produce ricchezza con il sangue e il proprio sudore. Rivoluzionario, perciò, oggi sarebbe dire “più ricchezza per tutti”, perché se tutti possono contare sulla ricchezza, e non, così come ho sentito nel discorso di Patricia Arquette, giusto le donne che danno “il dono della vita”, a valorizzare ancora una volta solo la capacità riproduttiva delle donne, avremmo tutti di che campare, nutrirci e stare bene. Tutti. Non solo le donne.