L'intervento di John R. Phillips alla scuola superiore Sant'Anna di Pisa. Tangenti e lunghezza dei processi "tengono lontane dall'Italia" le aziende estere. Il rappresentante di Washington chiede la "reintroduzione" del reato su cui la maggioranza fatica a trovare l'accordo. Apprezzamento per Jobs Act e riforma Senato
“Sono essenzialmente due i principali problemi che tengono lontani gli investitori stranieri, e americani in particolare, dall’Italia: la lentezza del processo civile e la corruzione“. Lo dice l’ambasciatore degli Usa in Italia, John R. Phillips, ospite di una conferenza sulla riforma della giustizia civile davanti agli studenti dell’istituto Dirpolis (Diritto, politica, sviluppo) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Non solo. L’ambasciatore auspica la “reintroduzione” del falso in bilancio, un tema che da mesi è oggetto di estenuanti contrattazioni nella maggioranza che appoggia il governo Renzi.
La corruzione, ha sottolineato l’ambasciatore, “in Italia è come una tassa da pagare sul 10% dei vostri prodotti” e per combatterla “è giusto innalzare le sanzioni, reintrodurre il reato del falso in bilancio, perché è proprio lì che si annida la corruzione, ma anche cambiare mentalità e sostenere, come abbiamo fatto in America, con una legge del 1986, i dipendenti che denunciano pratiche illecite delle aziende che intendono truffare lo Stato”. “Le sanzioni sono un deterrente, ma da sole non bastano – ha conclusoPhillips – perché molti pensano che rubare allo Stato sia meno grave che rubare a un privato, ma bisogna lavorare anche per fare crescere il senso civico di ciascuno”.
“Il vostro Paese – ha detto l’ambasciatore mostrando un grafico recentemente pubblicato dall’Economist – ha una durata dei processi mediamente lunga tre volte di più rispetto agli altri Paesi sviluppati. Se non si interviene in fretta in questo campo gli investitori esteri continueranno a dirottare altrove le proprie risorse”. Philips ha quindi citato l’esempio di Mario Barbuto che “12 anni fa è diventato presidente del Tribunale di Torino e in 6 anni ha drasticamente ridotto le cause pendenti applicando una tecnica manageriale che ora il governo gli ha chiesto di applicare al resto d’Italia”. Secondo il diplomatico, una buona soluzione “che in America ha funzionato, è quella di colpire economicamente i magistrati meno produttivi: da noi c’è stata una risposta collettiva che non ha intaccato l’indipendenza dei giudici”.
L’ambasciatore ha espresso apprezzamenti per l’azione del governo Renzi: “Penso che in questo momenti in Italia e all’estero tutti facciano il tifo per Matteo Renzi, affinché riesca a portare in fondo e far applicare le riforme che ha messo in campo. Ma il cammino è ancora lungo”. In particolare sul fronte del lavoro: “Il Jobs Act crea maggiore flessibilità del lavoro e questo può attrarre più investimenti dall’estero e dagli Usa. E’ una buona riforma se l’Italia riuscirà ad applicarla”, ha affermato. “Moltissimi manager statunitensi – ha aggiunto – mi hanno detto di aver rinunciato a investire in Italia perché vi sono norme troppo rigide riguardo al mercato del lavoro, mentre il Jobs Act viene incontro alla domanda di flessibilità: garantisce che non vi siano discriminazioni sul lavoro, ma anche che si possa ridurre il personale da parte delle imprese se cala la domanda del mercato”.
Bene anche, per il diplomatico, la riforma del Senato: “A marzo – ha ricordato – durante un colloquio tra il primo ministro italiano e il presidente degli Stati Uniti, al quale ero presente anche io, a un certo punto si è parlato della struttura parlamentare italiana e ho spiegato a Barack Obama che se la rappresentatività italiana fosse applicata agli usa ci sarebbero 5 mila tra deputati e senatori. Un’enormità”.