Le disposizioni della Regione non tengono conto degli studi relativi agli impatti sanitari e ambientali. Ignorato il rapporto dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare, per cui “i trattamenti su larga scala rappresentano anche rischi per la salute umana e animale"
C’è una pioggia di pesticidi che si prepara ad alluvionare il Salento, tutto, dall’Adriatico allo Ionio, da Leuca fino a Lecce. Risparmiata sarà solo la fascia a nord ovest della provincia, appena il 10 per cento di 2799 chilometri quadrati. È un obbligo l’uso di fitofarmaci a partire da maggio, un’imposizione della Regione Puglia per provare a bloccare la corsa dell’insetto che veicola la diffusione della malattia che ha colpito gli ulivi.
Una follia, secondo la Lega Tumori leccese, per cui la “cura è di gran lunga peggiore dell’infezione, essendo la chimica (e i pesticidi lo sono) responsabile di gravi danni alla salute umana”. Dalle irrorazioni non saranno risparmiate le aree parco, né i terreni coltivati a biologico. Per un centinaio di apicoltori, poi, si profila la cessazione dell’attività. Davvero non ci sono alternative? E gli impatti sono stati calcolati? È l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) a mettere in guardia, in un rapporto pubblicato a gennaio e passato finora in secondo piano.
Il rompicapo è senza precedenti per la Puglia meridionale, che sente franare il terreno sotto i piedi e vive l’incubo di vedere spezzata la spina dorsale della sua economia, che non è solo agricoltura, ma anche commercio, turismo, cultura. Qui tutto ruota attorno all’ulivo, da secoli. Ma in una terra che conta primati da paura per l’incidenza di neoplasie, i conti, stavolta, dovranno farsi anche su un altro piano, non più ignorabile, quello ambientale e sanitario. Ecco perché le linee guida imposte da Bari hanno provocato la levata di scudi.
Con la determina del 6 febbraio scorso, la Regione costringe a porre in essere le buone pratiche agricole di potatura, trinciatura delle erbe e aratura dei terreni fino ad aprile, ma anche, da maggio ad agosto, ad effettuare almeno due trattamenti chimici sulla chioma di tutte “le piante di olivo, fruttifere e ornamentali”, oltre che “interventi con prodotti insetticidi a ‘spot’ su macchia mediterranea residuale, muretti a secco, superfici abbandonate purché verdi e quindi attrattive per i vettori”. Praticamente, ovunque.
Le azioni sono da ripetere, poi, tra settembre e dicembre. Non è un consiglio, ma un obbligo, appunto, a carico dei proprietari e dei conduttori di tutte le particelle: dovranno tra l’altro dimostrare di aver acquistato i fitofarmaci conservando per tre anni gli scontrini fiscali. Nel provvedimento, sono anche riportate le sostanze da utilizzare: Imidacloprid, Buprofezis, Dimetoato, Deltametrina, Lambda cialotrina, Etofenprox e Clorpirifos metile.
Una dichiarazione di guerra, secondo la Lilt, che ha rivolto un appello, finora rimasto senza risposta, agli ordini dei medici, dei biologi e degli agronomi: conta poco che siano prodotti registrati o già usati contro la mosca dell’olivo, “talune molecole come il Clorpirifos metile e il Dimetoato – spiega il presidente della onlus, l’oncologo Giuseppe Serravezza – si fissano alla parte grassa della materia, come latte e olii, contaminandola pericolosamente. Non pare quindi appropriato affrontare la questione con misure che andrebbero a peggiorare il profilo di salute della popolazione e del territorio”.
Da tempo, Oms, Epa, Unep parlano di rischio cancerogeno derivante dall’uso di pesticidi; l’Ispra ogni anno ne documenta l’inquinamento ambientale; le università italiane insistono sulle ripercussioni sulle api e sull’intera biodiversità. Non c’è un solo riferimento a tutto ciò nelle disposizioni della Regione Puglia. E nessun richiamo neppure al corposo rapporto stilato il mese scorso dall’Efsa sul caso salentino lì dove, al capitolo tre, si dice che, anche per la mancanza di conoscenze, è ostacolata “la previsione dell’efficacia di tali applicazioni insetticidi contro i vettori”.
Di più, è scritto che “l’uso intensivo di trattamenti per limitare la trasmissione di malattie e controllare l’insetto vettore può avere conseguenze dirette e indirette per l’ambiente, modificando intere catene alimentari con conseguenze a cascata, e quindi che interessano vari livelli trofici. Ad esempio, l’impatto indiretto di pesticidi dall’impollinazione è attualmente una questione di seria preoccupazione. Inoltre, trattamenti su larga scala rappresentano anche rischi per la salute umana e animale”.