Non andrà all’incontro con Matteo Renzi e se nulla cambia nelle riforme costituzionali, Pier Luigi Bersani non voterà la riforma della legge elettorale. L’ex segretario Pd, in un’intervista che uscirà su Avvenire, dà il suo aut aut al governo. “Polemiche ingiustificate”, lo liquida il presidente del Consiglio. “Noi siamo per il dialogo”. Nuovo scontro, ma la scena è sempre la stessa. La pax tra Renzi e la minoranza Pd nata con l’elezione compatta di Sergio Mattarella è solo un ricordo. E nella routine di riforme e decreti, si riaprono i vecchi fronti.
L’ultimatum viene questa volta da Bersani. “Il combinato disposto”, dice, “tra ddl Boschi e Italicum rompe l’equilibrio democratico. Se la riforma della Costituzione va avanti così io non accetterò mai di votare la legge elettorale“. La ferita che più fa soffrire l’esponente della minoranza Pd è la riforma del mercato del lavoro, approvata nei giorni scorsi nonostante le perplessità di parte del partito: “Mette il lavoratore in un rapporto di forze pre-anni ’70 e perciò si pone fuori dall’ordinamento costituzionale”. Ma questa volta il motivo della lite con il presidente del Consiglio è stata la convocazione di un incontro con i parlamentari Pd, a cui l’ex segretario e altri membri della minoranza non parteciperanno. “Non ci penso proprio”, dice Bersani. “Perché io m’inchino alle esigenze della comunicazione, ma che gli organismi dirigenti debbano diventare figuranti di un film non ci sto”. Il presidente del Consiglio risponde poco dopo e dice di essere “stupito” per le “polemiche ingiustificate”: “Nessuno ha la verità in tasca e nessuno vuole ricominciare con i caminetti ristretti vecchia maniera: noi siamo per il confronto, sempre. Il nostro è un Partito democratico, nel nome ma anche nelle scelte e nel metodo. Tutte le principali decisioni di questi 15 mesi sono state discusse e votate negli organismi di partito”. E conclude: “Stupisce che vi sia chi gioca la carta della polemica interna. Il nostro popolo non si merita polemiche ingiustificate persino sugli orari e sulle modalità di convocazione di questi incontri informali”.
Bersani, punto di riferimento della minoranza Pd, aveva parlato di una mediazione possibile con Renzi dopo la prova dell’elezione del presidente della Repubblica. Il partito si era ricompattato intorno al nome di Sergio Mattarella. A quello si era aggiunta la fine del patto del Nazareno che aveva fatto sperare la sinistra democratica di poter aprire un nuovo tavolo di trattative con il presidente del Consiglio. Niente di tutto questo. Renzi è andato avanti per la sua strada e le ultime settimane hanno fatto tornare lo scontro ai vecchi tempi. Prima l’approvazione del ddl Boschi davanti a un parlamento con le opposizioni in Aventino (il voto finale a Montecitorio è atteso a marzo) e poi il dibattito sul Jobs act.
Che la situazione fosse arrivata ad uno dei punti più tesi degli ultimi mesi si era già capito nelle scorse ore. “Siamo al limite, è ora di fare le cose seriamente”, aveva commentato Bersani dopo l’annuncio della riunione tra i gruppi Pd e Renzi. “I gruppi li convocano i capogruppo, stabiliscono gli odg e invitano il segretario. Non c’entra il Pd, non c’entrano i bersaniani o i renziani”. L’ex segretario è stato anche tra i primi del Pd a criticare l’offerta di Mediaset per Rai Way: “Ora il Milan”, ha scritto su Twitter, “si comprerà l’Inter”. In tanti nella minoranza però non si presenteranno all’incontro: “Non vado”, commenta l’ex presidente Pd Gianni Cuperlo, “perché aspetto ancora di capire perché il governo non abbia tenuto in nessun conto il parere unanime del Pd in commissione sulla delega lavoro e moltissime altre proposte avanzate in questi mesi. Massimo rispetto per l’iniziativa di Renzi ma è bene prima chiarire che tipo di rapporto c’è tra governo e Parlamento”.