Nadezhda Savchenko, ufficiale delle Forze Aeree ucraine, è stata fermata lo scorso giugno con l'accusa di aver causato la morte di due giornalisti russi. Il Tribunale di Mosca ha respinto l’appello degli avvocati contro la proroga della carcerazione preventiva al 13 maggio. "E' in sciopero della fame da 75 giorni, non arriverà a quella data", spiega a IlFattoQuotidiano.it l'attivista Zoya Svetova
La vita di Nadezhda Savchenko, ufficiale delle Forze Aeree ucraine, è appesa a un filo, e solo un uomo, il presidente russo Vladimir Putin, può decidere se salvarla o lasciarla morire in carcere. Lo spiega a IlFattoQuotidiano.it Zoya Svetova, attivista per i diritti umani russa, che il 24 febbraio ha consegnato al Cremlino una petizione con più di 11 mila firme che chiede di rivedere la misura di carcerazione preventiva applicata alla donna. La Savchenko, detenuta in Russia, è accusata di complicità nell’omicidio di due giornalisti russi nell’Ucraina dell’est. Da più di 75 giorni è in sciopero della fame. Ha perso quasi 20 chili, beve solo dell’acqua e del tè e ormai da più giorni rifiuta le iniezioni di glucosio. “La sua è una protesta contro l’ingiustizia – continua la Svetova – a nostra ultima speranza per scongiurare una tragedia è che Papa Francesco intervenga col patriarca russo. Cirillo potrebbe vincere la resistenza di Putin per cui basterebbe una sola telefonata per salvare la vita alla donna”.
Il Tribunale di Mosca ha respinto il 25 febbraio l’appello degli avvocati della militare ucraina contro la proroga della carcerazione preventiva al 13 maggio. “Non arriverà a quella data”, dice sconfortata la Svetova. La donna, una volta di corporatura robusta, assisteva all’udienza sdraiata sulla panchina. Era collegata in video conferenza dal famigerato centro di detenzione di Mosca “Matrosskaja Tishina“, dove nel 2009 era stato lasciato morire l’avvocato russo Sergej Magnitskij. La Savchenko però non è intimidita dal rischio al quale va incontro, dice che interromperà lo sciopero solo se gli verranno concessi gli arresti domiciliari all’Ambasciata ucraina di Mosca per il periodo delle indagini preliminari, che ormai vanno avanti da otto mesi senza approdare a nulla di concreto.
Che la donna sia molto pervicace lo dicono non solo gli avvocati di lei, ma anche la sua storia personale. In Ucraina la chiamano “Soldato Jane“, ma anche “Giovanna d’Arco“. Da piccola sognava di fare la pilota di caccia, ma la prestigiosa Accademia delle Forze Aeree di Kharkiv non accettava allieve femmine. Allora ha affrontato la gavetta militare dimostrando di essere alla pari dei colleghi uomini. Dopo vari tentativi Nadezhda è riuscita a farsi ammattere a Kharkiv ed è diventata pilota dell’elicottero d’attacco MI-24. In Ucraina era conosciuta già prima che fosse scoppiato questo caso, perché era stata l’unica donna ad aver fatto parte delle forze di pace ucraine in Iraq.
Come raccontato dalla stessa Savchenko, quando il governo di Kiev lanciò l'”operazione antiterroristica” con i ribelli filorussi nell’Est la primavera scorsa, lei si trovava in congedo dal servizio e raggiunse alcuni amici di Maidan, che all’epoca facevano parte di un battaglione volontario ucraino, di stanza nei pressi di Lugansk. Durante uno scontro avvenuto il 17 giugno tra gli ucraini e i separatisti alcuni combattenti di Kiev sono rimasti feriti: mentre la pilota ucraina andava in loro soccorso è stata catturata dalle milizie russe. In un video postato in rete il 19 giugno la si vede in una stanza incatenata a dei tubi, mentre viene interrogata dalle forze prorusse. Vogliono sapere la disposizione del nemico, ma lei non molla. “Anche se lo sapessi, non ve lo direi”, risponde con un sorriso.
Dopo, il vuoto. L’ufficiale ucraina ricompare soltanto l’8 luglio in un centro di detenzione nel Sud della Russia, a Voronezh. Il Comitato investigativo russo la accusa di aver causato la morte dei giornalisti russi, Igor’ Korneljuk e Anton Voloshin, uccisi il 17 giugno da colpi di mortaio, mentre si trovavano nelle vicinanze di Lugansk: l’ufficiale avrebbe fornito alle forze di Kiev le coordinate del luogo in cui si trovavano i reporter.
Le autorità russe sostengono che la Savchenko era riuscita a fuggire dalla prigionia dei separatisti e sarebbe entrata in Russia fingendosi una rifugiata (da qui la seconda accusa contestata alla donna, ossia l’attraversamento illecito della frontiera). Il 23 giugno, nella regione di Voronezh, sarebbe stata fermata casualmente per un controllo dei documenti, dove si è scoperto che era sospettata nell’ambito dell’inchiesta sulla morte dei giornalisti russi. A quel punto è stata portata in un motel dove avrebbe vissuto per una settimana senza nessuna guardia che la custodisse, mentre gli investigatori russi la interrogavano in qualità di testimone. Il 30 giugno è seguita l’accusa ufficiale e l’arresto, con il trasferimento a Mosca in settembre.
La Savchenko però racconta una storia molto diversa. I separatisti, dice, l’hanno prima bendata e poi portata in Russia per consegnarla alle autorità. Prima dell’arresto ufficiale, era stata tenuta per una settimana, con due sentinelle che le facevano la guardia, in quel famoso motel. Per l’Ucraina, quindi, si tratta di sequestro di persona. Durante la seduta per valutare l’appello degli avvocati, il giudice si è rifiutato di illustrare le prove. Perché non esistono, dicono gli avvocati. La difesa invece ha fornito i tabulati telefonici del cellulare della Savchenko e dei giornalisti uccisi, la cui analisi dimostra che la militare ucraina era stata catturata e portata nel centro di Lugansk per un interrogatorio più di un’ora prima della morte della troupe russa.
“Se fosse colpevole, si sarebbe già arresa, avrebbe patteggiato”, è convinta la Svetova, figlia di famosi dissidenti, che di processi politici ne ha visti tanti. “Lo sciopero della fame per la Savchenko è l’unica arma disponibile per chiedere giustizia”. Gli appelli della comunità internazionale cadono nel vuoto. Il Senato americano ha approvato a febbraio una risoluzione, chiedendo il rilascio della pilota ucraina. La cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese François Hollande hanno sollevato la questione durante il vertice di Minsk dell’11 febbraio. Il Cremlino insiste: “Bisogna aspettare i risultati delle indagini”. “I silovik si sentono ricattati dallo sciopero della fame e non vogliono cedere -conclude la Svetova – noi chiediamo a Putin un atto di grazia per una persona che sta per morire”.