Agli estremi confini orientali d’Italia, profondo nord-est, c’è una multinazionale che ha il suo sito web in inglese e in cinese. L’italiano non serve, alla Danieli di Buttrio (Udine), uno dei leader mondiali nella produzione di impianti siderurgici, colosso con più di 10 mila dipendenti che costruisce acciaierie in Russia e nei Paesi arabi, in Brasile e in Corea.
Grossi guai, per la multinazionale silenziosa: la procura di Udine le contesta un’evasione e frode fiscale di 80 milioni di euro, su una cifra totale di circa 280 milioni nascosti al fisco. Il procuratore aggiunto Raffaele Tito ha firmato una richiesta di rinvio a giudizio per sette persone, primo fra tutti il presidente della società, Giampietro Benedetti. Ogni regione è paese: la procura di Milano ha contestato reati fiscali a imprese della moda come Prada e corruzioni internazionali a colossi come l’Eni. Udine risponde con una grande inchiesta che riguarda la Danieli. Le accuse riguardano la “esterovestizione societaria”, cioè la trasmigrazione all’estero, nei paradisi fiscali, di attività che hanno invece il loro ponte di comando in Italia. Insomma trucchi societari per non pagare le tasse.
“A seguito di complessi schemi negoziali”, alcune società italiane del gruppo avrebbero fatto carambole finanziarie con società lussemburghesi e poi con “società di comodo di diritto irlandese”. Passaggi di azioni, magheggi internazionali, il cui risultato è alla fine un sostanzioso risparmio fiscale. Il denaro partito dalle società nazionali della Danieli, dopo un bel giro all’estero, sarebbe tornato in Italia sotto forma di prestito fruttifero, facendo maturare interessi passivi. Così sarebbero stati dichiarati costi fittizi per circa 13 milioni di euro, con un’evasione di quasi 4 milioni. Non solo. La Danieli avrebbe utilizzato tre società “formalmente aventi sede in Lussemburgo, ma di fatto gestite in Italia, le cui decisioni operative venivano stabilite proprio in Buttrio”, scrive la procura, “omettendo pertanto di presentare le dichiarazioni dei redditi per gli anni d’imposta dal 2004 al 2013”. In questi anni, ha accumulato 255 milioni di euro di redditi non dichiarati, con un’evasione d’imposta di 73 milioni. Non solo. Tra il 2006 e il 2010, la multinazionale avrebbe utilizzato una società degli Emirati Arabi per fare false fatturazioni: un “utilizzo in contabilità e nelle dichiarazioni dei redditi di fatture riconducibili a prestazioni mai avvenute, per un totale di costi fittizi per 13.327.509 euro e una corrispondente imposta evasa per complessivi 3.780.293 euro”.
Sarà il giudice dell’udienza preliminare, l’8 maggio, a stabilire se i sette uomini d’oro della Danieli dovranno andare a processo. Intanto però quello che sembra delinearsi è che c’è un metodo diffuso, utilizzato dalle grosse aziende italiane che operano anche all’estero.
Le griffe della moda sono state indagate e processate a Milano, con alterne fortune. E, prima ancora, indagato e condannato anche il padrone di Mediaset. Ora Silvio Berlusconi e i suoi sostenitori non potranno più gridare al complotto e affermare che le inchieste sulla colossale frode fiscale del signore delle tv era un attacco politico. Proprio per frode fiscale Berlusconi sta scontando la sua pena, ai servizi sociali. Non è l’unico a frodare il fisco italiano con magie internazionali. E non è l’unico indagato: lo sono stati anche i signori della moda e, scopriamo oggi, anche l’ingegner (honoris causa) Benedetti, che però non potrà schierare un partito in sua difesa. O forse sì: il partito dei grandi evasori, che sottraggono milioni al fisco, cioè alle nostre scuole, ai nostri ospedali, alle nostre infrastrutture. E costringono noi, che le tasse le paghiamo, a pagarne tante, troppe.
@gbarbacetto
Il Fatto Quotidiano, 26 febbraio 2015