I mass media possono continuare tranquillamente a considerare lo yoga una ginnastica per anziani molto complessa, una specie di sport particolarmente statico o un’attività misteriosamente esoterica, ma i praticanti sanno bene qual è uno dei suoi più importanti segreti.

Imparare a rivolgere l’attenzione a ciò che accade dentro di noi nel momento della pratica, a guardare dentro noi stessi. Quest’azione comporta una scissione interiore, come dicevamo qui, che aiuta a conquistare una posizione particolare, quella dell’osservatore. Colui che guarda se stesso senza giudicarsi.

Yoga

Fermarsi, imparare ad ascoltare minuziosamente le azioni del corpo nell’immobilità (il respiro, il battito del cuore, il movimento del diaframma e dell’addome) significa sgombrare la mente dalle attività che la tengono costantemente sotto pressione. In particolare sono due le azioni in cui la mente è impegnata senza sosta. La prima è ricordare; un episodio sgradevole accaduto la scorsa settimana in ufficio, ad esempio, oppure il mancato incontro con una persona cara o lo sgretolamento di uno degli innumerevoli obiettivi con i quali la mente, organizzatrice puntigliosa, confida di renderci la vita migliore.

Nel migliore dei casi, possiamo anche essere impegnati a rivivere un momento piacevole che abbiamo vissuto. È certamente un’attività gratificante, ma è chiaro come su tutti gli eventi accaduti noi non abbiamo più alcun controllo. Appartengono al passato, non al presente.

Un presente che è spesso riempito, allagato dall’altra azione in cui la mente è sempre presa: prevedere, calcolare, prefigurare il futuro. Pensare a ciò che si farà domani, la prossima settimana o quest’estate; a come lo si farà, con chi.

È chiaro che così si resta intrappolati in un tempo fluido che va dal passato più remoto al futuro più lontano, senza mai avere la capacità di restare concentrati su ciò che sta accadendo proprio in questo momento. E questo spesso toglie la possibilità di accorgersi delle persone, delle opportunità, dei profumi, dei colori che ci stanno intorno; impedisce di comprendere l’urgenza del nostro stare sulla terra. Proprio in questo luogo, proprio in questo momento.

A questa tirannia del tempo (un’invenzione dell’uomo, peraltro) lo yoga ribatte con la capacità di calarsi nel momento e viverlo fino in fondo, fino all’ultima goccia, fino all’ultima sensazione.

È un concetto strettamente collegato a ciò che il Buddhismo chiama Satipatthana. È un termine dell’antica lingua Pali che si traduce più o meno come “Presenzializzazione dell’attenzione”.

Essere presenti in ciò che si fa nel momento in cui lo si fa, insomma.

Questo insegnamento è diventato popolare negli ultimi decenni qui in Europa anche grazie all’opera di divulgazione fatta da Thich Nhat Hanh. È un monaco buddhista vietnamita che ha pubblicato diversi libri molto diffusi tra gli appassionati di filosofie orientali e non solo. Uno dei più famosi è proprio un testo intitolato Il miracolo della presenza mentale, pubblicato in Italia da Astrolabio.

Alla base dell’insegnamento di Thich Nhat Hanh, che va benissimo per atei incalliti e credenti di ogni religione, c’è l’idea che qualunque gesto, qualunque momento della giornata, anche il più semplice, valga la pena di essere vissuto con pienezza. Perché non tornerà, mai.

In più, imparando a apprezzare ogni momento nella sua irripetibile unicità si comprende come – malgrado la schiacciante macchina della società dei consumi faccio di tutto per convincerci del contrario – sia assai più soddisfacente ascoltarsi e accettarsi che essere impegnati in una lotta senza fine per conseguire chissà quali obiettivi. Perché, anche se può suonare strano a molti, è molto più appagante vivere con una marcia in meno, che con un marcia in più.

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