Il tipico difetto di quelli che sono chiamati instant book, ovvero la saggistica del momento, di solito scritta da giornalisti, è che pochi giorni dopo la loro pubblicazione risultano già vecchi e superati.
Impressionante, in questa prima sezione, come le stesse identiche persone che appena ieri avevano sostenuto e votato, per dire, un governo Monti con tutte le relative riforme di stampo liberista, solo poche settimane più tardi riescano a condannare l’opera di quel governo dei tecnici e a tacciarla di tutti i mali del mondo. Se per bandwagon esiste un’espressione italiana (“salire sul carro del vincitore”) pare che occorra coniare un modo di dire per indicare lo scendere a rotta di collo dal carro di chi si comincia a sospettare perdente. Un atteggiamento, quello del “Viva Monti, via Monti!”, che esprime come minimo trasformismo, ipocrisia e limitatezza di visione, se non qualcosa di peggio.
Illuminante, in questo senso, un virgolettato di Stefano Fassina, che racchiude un elemento esiziale della malattia della Sinistra italiana: “Siamo andati verso le elezioni politiche convinti che il Paese avrebbe riconosciuto il nostro senso di responsabilità nazionale, compreso l’appoggio ai tecnici. Ragionavamo come nella migliore tradizione del Pci: noi che ci sacrifichiamo nell’interesse dell’Italia e il popolo che ce lo riconosce nelle urne. Invece l’umore del Paese era diametralmente opposto.” (82). E grazie, Fassina, ammesso e non concesso che la teoria del sacrificio sia uno strumento politico, il sacrificio consiste proprio nel perseguire una politica che si crede intimamente giusta ma si riconosce come impopolare, che non può, per contraddizion che nol consente, essere rispettata dagli elettori nelle urne. Quindi: “ma che stai addì?”.
Ma i problemi all’interno della bucherellata Sinistra nostrana non finiscono certo nei non sequitur di Fassina. Prendiamo le parole di Gilioli, relative alle vicissitudini della mezzo-fallimentare Lista Tsipras italica: “Un esempio plastico di questa incomunicabilità con il resto del Paese è l’intenso e sofferto scambio di pareri sulla posizione da prendere rispetto alla questione della guerra civile in Ucraina, una discussione molto alta che avviene a inizio maggio e impegna candidati e garanti per un’intera giornata fino a giungere alla stesura e alla pubblicazione di due testi contrapposti tra loro” (170). Ma scusate, la politica non era quella cosa in cui si discute da posizioni diverse per poi arrivare a una soluzione unitaria di compromesso? Perché se si perde questo scopo finale, non è politica, è chiacchiericcio da bar.
Il racconto di Gilioli affronta in pieno anche la feroce mancanza di un alfabeto comune fra il M5S e la Sinistra italiana. In punta teorica, includendo nella sua analisi il M5S, Gilioli crede che questo sia una componente della Sinistra, ma avvisa che il dato è tutt’altro dall’essere pacifico e riconosciuto. L’autore descrive così, attraverso una sagace scelta di virgolettati ricavati da interviste fatte di persona ai vari “non protagonisti” di questa stagione (le Lombardo, i Crimi, i Fratoianni, gli Scalfarotto, eccetera) un panorama desolante, nel quale la stantia immagine del dialogo tra sordi è perfino offensiva per eccesso, poiché i sordomuti hanno una lingua dei segni con cui si capiscono.
La terza e conclusiva parte “Domani”, è quella delle riflessioni. Qui Gilioli vola più alto, pur restando visibile a occhio nudo da terra (e questo è un pregio per chi vuole divulgare), e stila una serie di “mattoni e tasselli” come li chiama lui, che potrebbero costituire un nuovo Dna per la Sinistra del dopo 2015. I temi sono quelli classici del socialismo liberale, spruzzati da problematiche (e soluzioni) offerte dalla nuova etica. Qui l’autore accenna ai problemi e alle soluzioni possibili, con spirito generoso e illuminato. E, per questo, apparentemente privo di ogni possibilità di realizzazione. Visto che sono di Sinistra anche io, propongo la mia personale soluzione: diamo tutto in mano a Chiara Lalli e accettiamo ciò che lei deciderà. Una donna intelligente sola al comando: chissà che non sia l’unica via rimasta.