E chi se lo aspettava che anche in Algeria ci sarebbe stata una così grande lotta contro le trivelle?
La protagonista è la compagnia petrolifera statale Sonatrach che dispensa concessioni come se fossero caramelle. Gli interessi in gioco qui sono giganteschi. Secondo l’agenzia americana Energy Information Administration (Eia), l’Algeria è il terzo paese al mondo per disponibilità di shale gas, dopo Cina e l’Argentina. Parliamo di circa 600 trillioni di metri cubi di gas.
L’Algeria è stata a lungo produttrice di petrolio e di gas convenzionale. Circa il 60% del proprio budget arriva dagli idrocarburi, che sono la gran parte di ciò che l’Algeria esporta. Con i petrodollari, l’Algeria ha mantenuto un regime sociale di relativo benessere con ampi sussidi governativi che le hanno permesso di evitare le proteste di massa dei paesi confinanti durante le primavere arabe. Semplicemente appena c’è stato sentore di ribellione hanno mandato la polizia e poi hanno aumentato tutti i salari e i programmi per i giovani. E’ un metodo abbastanza comune qui – la gente protesta un po, si danno concessioni e si evitano problemi maggiori.
In tempi recenti però le riserve di gas da estrarre con metodi “normali” sono calate e quindi il governo ha ben pensato di passare allo shale gas, i cui giacimenti nel sud dell’Algeria fino a poco tempo fa non sarebbero stati accessibili. Si decide di investire 80 miliardi di dollari con 200 pozzi esplorativi, impianti petrolchimici e di raffinazione e con l’intento di tirare fuori circa 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Ma siccome non hanno le tecnologie o il sapere, decidono di aprire agli investitori stranieri, con cui si “condivideranno” rischi, profitti e costi. A chi aprono? A Shell, Exxon Mobil, Total, Talisman Energy e ovviamente. la nostra beneamata Eni, che e’ stata fra le prime a firmare gli accordi con la Sonatrach nel 2011. Hanno piu di quaranta concessioni in Algeria.
Alla fine di Dicembre 2014, la Sonatrach annuncia che i testi del fracking venti miglia a sud da Ain Salah. Sono stati di successo e che si intende proseguire. Ora, di tutte le città di Algeria, Ain Salah è quella dove più di altre la gente è ritenuta pacifica, sottomessa e obbediente. Ma cosi’ non e’ stato per il fracking: sono subito scesi in piazza e non ne vogliono sapere di trivelle. E questo ha colto di gran sorpresa i politici e gli osservatori.
E perché ad Ain Salah si oppongono alle trivelle? Per lo stesso motivo per cui ci opponiamo noi: perché nonostante tutte le belle promesse di lavoro e progresso lo sanno anche nel sud dell’Algeria che le trivelle portano solo miseria ed inquinamento. In questo tempo di internet e di globalizzazione non si può negare l’evidenza.
A poco sono valsi i tentativi di “tuttapposto” del governo: è tutto sicuro, siamo solo in fase di esplorazione, inizieremo nel 2020, e una “transizione” verso le rinnovabili e via con la fantasia. A rendere tutto ancora più difficile è che qui siamo in un deserto, e l’acqua è preziosa. Se la usano per il fracking e se la inquinano, cosa berranno le persone? Cosa useranno per l’agricoltura?
Ci sono anche vaghi sentimenti anticoloniali: ci si ricorda di essere stati sede di esperimenti nucleari e chimici della Francia, anche dopo l’indipendenza, e non se ne vogliono altri, questa volta di natura petrolifera. E poi fra le proponenti c’è la Total, ed il fracking è vietato in Francia per proteggere l’ambiente. L’ambiente di Algeria è meno importante?
Sebbene ad Ain Salah ci sia un tasso di analfabetismo ancora al 20%, la zona sia povera e poco sviluppata rispetto al resto del paese, la protesta è stata forte e compatta. L’8 Febbraio 2015 il governo centrale ha annunciato che i programmi di fracking andranno avanti come inizialmente previsto. Ma invece di arrendersi, i residenti di Ain Salan e di altre città hanno continuato a protestare finché il movimento, pacifico e composto, è diventato nazionale.
Questo enorme movimento di opinione, partito da un popolo considerato marginale e poco istruito, sta dando prova di cittadinanza responsabile e pacifica al mondo intero, anche a noi italiani, che spesso più che protestare su Facebook non facciamo. E’ un movimento di cittadini adulti.