Tokyo, lo spettacolo natalizio dei delfiniI delfini sono tra le specie animali più intelligenti e il loro modo di comunicare è simile a quello degli esseri umani. Non c’è da stupirsi, quindi, se le persone ne sono fortemente affascinate! La forte attrazione verso i tursiopi ha incentivato però l’apertura di parchi acquatici dove vengono reclusi, maltrattati e sfruttati. Da non sottovalutare anche la poca conoscenza etologica e fisiologica di questi animali: il loro muso ‘sorridente’ può far pensare che si divertano a saltare attraverso cerchi, a lanciare la palla in rete e a nuotare con il proprio addestratore. Non è così. E’ solamente il risultato di un duro addestramento! Entrando in un delfinario, non compriamo, dunque, il loro ‘sorriso’ ma la loro infelicità.

Data la natura sociale e altamente attiva dei delfini è davvero disumano confinarli in spazi angusti delle dimensioni di una vasca, separarli dai membri della propria famiglia, condannandoli a una vita di monotonia e noia. Inserire nella stessa vasca animali appartenenti a famiglie diverse sviluppa in loro aggressività e stress; il modo di comunicare è diverso e a pagarne le conseguenze sono gli animali stessi che possono arrivare ad uccidersi, non avendo una via di fuga. Uno degli ultimi esempi da citare è Morgan, l’orca nata libera, trovata denutrita dalla guardia costiera olandese e confinata ora presso Loro Parque Zoo di Tenerife. Costretta a vivere con le altre orche prigioniere della struttura, non essendo accettata dal branco, viene continuamente attaccata e ferita. Stressata e depressa, mostra il suo forte disagio rosicchiando il cemento della vasca e la sua dentatura è oramai rovinata. Loro Parque Zoo nega il suo malessere e una sentenza dello scorso anno emessa dall’alta corte dell’Aja ha decretato la sua condanna a morte, negandogli la libertà.

“I delfinari sono luoghi innaturali, sono delle prigioni” dichiara Albert Lopez, collaboratore di SOS Delfini che, per oltre trent’anni ha lavorato nel settore. “Se vediamo un uccello in gabbia è subito chiaro che si tratta di un animale privato della libertà perché vediamo le sbarre. Non pensiamo che anche una vasca possa essere un luogo di reclusione, ma per un cetaceo lo è a tutti gli effetti”. I delfini in cattività sono inclini alla depressione e molte malattie, spesso mortali, sono associate allo stress dovuto alla prigionia. Se sono davvero felici, allora, perché gli vengono somministrati ormoni e tranquillanti?
Phil Demers, ex addestratore che lavora nel parco acquatico Marineland, Ontario, ha dichiarato: “Il valium è la risposta a tutti i mali”. Se vogliamo citare un esempio in casa nostra, invece, possiamo parlare del delfinario di Rimini, chiuso con Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare emesso il 5 dicembre 2014, dove “grazie al contributo di esperti in mammiferi marini, si è potuta riscontrare la somministrazione ai delfini di tranquillanti per inibire i problemi di aggressione intraspecifica e di cure ormonali, in modo continuativo e prolungato, per frenare i comportamenti legati alla maturità sessuale” come ha dichiarato la Forestale nel comunicato stampa dopo il sopralluogo.

L’aspettativa di vita di un delfino libero è di circa 50 anni contro i 20 di quello in cattività. Richard ‘O Barry, ex addestratore di questi animali, che ha messo a disposizione la sua enorme esperienza nel film The Cove (il documentario rivelazione vincitore di numerosi premi, tra cui anche il premio Oscar come miglior documentario), capì di essere dalla parte sbagliata quando Cathy, una delfina femmina, morì tra le sue braccia sul set della popolare serie tv Flipper. Il film-denuncia accusa la stretta alleanza tra l’industria dei parchi acquatici e le comunità di pescatori giapponesi, documentando quanto annualmente accade nella baia di Taiji, una delle insenature più nascoste e protette dell’arcipelago giapponese. Molti delfini che finiscono nei parchi marini, vengono catturati in natura e molti provengono proprio dalla nota baia. Un delfino abilmente addestrato può essere venduto a un prezzo che si aggira intorno ai 100.000 dollari.

Oltre ai delfini, anche orche, leoni marini e altri animali vengono condannati nei delfinari e acquari, subendo gli stessi trattamenti dei tursiopi. Blackfish, il documentario uscito nel 2013, diretto dalla regista Gabriela Couperthwaite, racconta la storia vera di Tilikum, un’orca che nei suoi trenta anni di reclusione, ha ucciso tre persone ma, soprattutto denuncia i maltrattamenti riservati alle orche nei parchi acquatici, documentando il dramma di questi animali.

Anche se film come The Cove e Blackfish hanno fatto luce su ciò che si cela dietro la cattività dei cetacei, dalla cattura sino agli spettacoli, molte persone ancora ignorano purtroppo la vera natura di queste strutture mascherate da poli didattici. A illustrare l’enorme diffusione dei delfinari a livello mondiale ci ha pensato Kendall Williams, Geography Major all’Università della California, Berkeley, creando una mappa, con la speranza di sensibilizzare le persone e invitandole a prendere posizione contro i parchi acquatici, non solo nei nostri rispettivi paesi, ma in tutto il globo.

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Non ce ne rendiamo ancora conto ma ognuno di noi può fare la differenza! Diffondendo le notizie che svelano la crudeltà di questi parchi marini possiamo invertire la rotta di questo settore e ridisegnare questa mappa, sostituendo i delfinari con i santuari, dove gli animali vengono tutelati, non sfruttati. Da un paio di settimane è partita una protesta simbolica, “Contro i delfinari mettiamoci la faccia“, lanciata dal Coordinamento Basta Delfinari, con la quale possiamo esternare la nostra contrarietà ai parchi acquatici e alla riapertura del delfinario di Rimini.
L’obiettivo “è di raccogliere tante testimonianze fotografiche per diffonderle il più possibile in modo che arrivino alle istituzioni e servano a sollevare l’attenzione sulla vicenda della struttura riminese, accendendo i riflettori su un luogo di prigionia che purtroppo ancora oggi continua indisturbato a sfruttare gli animali”. Per partecipare, inviare a bastadelfinari@gmail.com la propria fotografia con uno dei due cartelli creati per la campagna dal Coordinamento, che possiamo scaricare dalla pagina facebook dell’evento.

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