C’è una definizione dell’enciclopedia Treccani che stona pesantemente con quanto accaduto in questi giorni a Genova: “medicina” è, in senso lato, “il complesso dei provvedimenti, spesso di carattere non strettamente medico, ma comunque rivolti, nell’intenzione di chi li adotta, a combattere o a prevenire fattori morbosi”. Come fa questa definizione ad adattarsi alla figura di un uomo, definito dai testimoni “il seviziatore”, che all’interno della caserma di Bolzaneto durante i giorni del G8 agì “con particolare crudeltà” – così hanno scritto i giudici di Corte d’appello – nei confronti di vittime inermi, “spesso già ferite, atterrite, infreddolite, affamate, assetate… sostanzialmente già seviziate”?
Di certo questa non sembra prevenzione di fattori morbosi, tutt’altro.
Eppure Giacomo Toccafondi, il medico che gestiva l’infermeria di Bolzaneto, non solo è stato salvato dalla prescrizione rispetto ai reati di omissione di referto, violenza privata, lesioni e abuso d’ufficio. Con una sentenza che non potrà essere impugnata, l’Ordine dei medici di Genova ha decretato che il dottor Toccafondi, scontata una sospensione di sei mesi, potrà tornare a fare il medico. A prevenire fattori morbosi su cittadini malati e, proprio per questo, inermi come i ragazzi del 2001. Il dottor “mimetica” è stato licenziato un anno fa dall’ospedale Gallino di Pontedecimo, dopo aver ricevuto, gli anni scorsi, promozioni e “retribuzioni di risultato”.
Hanno scritto ancora i giudici: “Anziché lenire la sofferenza delle vittime di altri reati, l’aggravò, agendo con particolare crudeltà su chi, inerme e ferito, non era in grado di opporre alcuna difesa, subendo in profondità sia il danno fisico, che determina il dolore, sia quello psicologico dell’umiliazione causata dal riso dei suoi aguzzini”. Ma neanche questo è bastato al suo Ordine di riferimento, in un procedimento che è andato avanti otto mesi, per radiarlo dall’albo e impedirgli di prevenire nello stesso modo altri fattori morbosi.
La verità è che, come in un disturbo da incubi, Genova sembra non finire mai. A 14 anni da quelle immagini di una nazione impegnata a distogliere l’attenzione dai problemi del capo a colpi di manganelli, le beffe continuano a sommarsi ai danni. E anzi, rischia di manifestarsi qualche segnale di ciclicità. Da un lato le botte ingiustificate, nell’ottobre scorso, agli operai ThyssenKrupp di Terni sotto il ministero dello Sviluppo e, ieri, i manifestanti anti-Salvini trascinati fuori dalla chiesa degli Artisti in piazza del Popolo, a Roma, e poi caricati e fatti piangere con i lacrimogeni. Dall’altro, gli ultras del Feyenoord lasciati agire indisturbati nel centro di Roma, liberi di danneggiare la Barcaccia e orinare in Piazza di Spagna: “Non potevamo fermarli nelle metropolitane”, si è giustificato il Questore di Roma, D’Angelo.
Non c’è da fare dietrologie ipotizzando regie occulte. C’è però da considerare che, dalla morte dell’ex capo della Polizia Manganelli, l’ordine pubblico nelle piazze più importanti d’Italia è tornato nelle mani delle squadre mobili. Di chi fa le indagini e non ha alle spalle un solo giorno di piazze. I nomi che oggi occupano ruoli strategici nelle stanze del Dipartimento di Pubblica sicurezza del Viminale, così come i capi delle principali Questure italiane vengono dal mondo delle investigazioni, non da quello della polizia di prevenzione. Esattamente come a Genova nel 2001. Sembra di tornare indietro nel tempo. Medicina e polizia sono parole che rientrano nell’ambito della tutela della persona; i medici e i poliziotti sono coloro che hanno l’obbligo di aiutare le persone inermi e di prevenire fattori morbosi. La paura è che qui il morbo sia talmente esteso da diventare insanabile.
Il Fatto Quotidiano, 28 Febbraio 2015