Il presidente del Coni Giovanni Malagò: "Se nessuno si assume le proprie responsabilità, allora sarà compito delle istituzioni individuare di chi è la colpa". Esecutivo al lavoro: allo studio una soluzione con Lega e Figc
“Non è accettabile che nessuno abbia detto è colpa mia. Non c’è nessuno che finora si sia assunto la responsabilità. Se nessuno se la prende, allora sarà compito delle istituzioni individuare di chi è la colpa”. Le parole del presidente del Coni Giovanni Malagò lasciano intendere che dell’affaire Parma, che ha falsato il campionato di Serie A nell’indifferenza delle istituzioni preposte, se ne occuperà il Governo. Oggi il fascicolo Parma è arrivato a Palazzo Chigi, sul tavolo del premier Matteo Renzi e del sottosegretario Graziano Delrio, per una prima valutazione. E come spiega lo stesso Malagò – “Aspettiamo l’assemblea di Lega venerdì, poi è chiaro che con Delrio ci confronteremo non solo ufficiosamente ma anche ufficialmente” – è chiaro che dalla settimana prossima ogni decisione sarà governativa. L’industria calcio ha un valore di quasi 3 miliardi di euro, che arriva a 9 considerato l’indotto che muove. Evidentemente Lega e Figc non sono più in grado di governarlo.
La richiesta di assunzione di responsabilità di Malagò arriva dopo che il presidente della Figc Carlo Tavecchio venerdì aveva detto: “Il Parma è allo sbando, ma la Figc non ha nessuna responsabilità per il default del club, né per quello che è accaduto dall’estate scorsa a oggi”. E il presidente della Lega di Serie A Maurizio Beretta proprio stamattina ha dichiarato: “’Lega e Federazione non hanno responsabilità. Il torneo è regolare. Ho letto critiche ingenerose – ha aggiunto – A fine giugno ci sono stati i controlli per l’iscrizione ai campionati, così ha fatto la Covisoc, evidentemente era tutto in linea”. Quando invece l’ispezione della Covisoc che ha portato alla revoca della licenza Uefa (la famosa Irpef non pagata da Ghirardi sui cartellini comprati in quantità industriale di giocatori mai transitati da Parma e subito girati nelle serie minori) già lo scorso aprile avvisava delle molte irregolarità nei bilanci del club ducale.
Il problema è che dal 2007 i criteri per l’iscrizione ai campionati sono cambiati. Dato che nessuno era in regola, il calcio italiano (erano i tempi di Giancarlo Abete e Antonio Matarrese) decise di renderli molto più elastici. Fino a permettere al Parma di arrivare in questa situazione. E ora? Nell’immediato, il 6 ci sarà appunto l’assemblea di Lega, mentre il 19 il Tribunale di Parma discuterà il fallimento. Nel mezzo il Parma dovrebbe giocare l’8 con l’Atalanta e il 15 a Sassuolo, ma al momento non ci sono i soldi. Anzi, il proprietario Giampietro Manenti è in confusione totale: prima attacca la città (“Pensavo fosse un posto tranquillo”), poi dice docile che potrebbe “vendere il club”, poi conclude sottolineando che “altrimenti falliamo”. Beretta dice che del futuro del torneo si deciderà dopo il 19, e tutto lascia intendere che dopo quella data assisteremo al ritiro ufficiale del club ducale e a una serie di 0-3 a tavolino. Anche perché se dopo Udinese e Genoa saltano anche i match con Atalanta e Sassuolo, alla quarta rinuncia scatta la radiazione. Ecco perché l’intervento del Governo potrebbe essere fuori tempo massimo.
Il futuro prossimo invece vedrà la retrocessione del Parma nei dilettanti, essendo stato abrogato il Lodo Petrucci che permetteva di ripartire dalla categoria inferiore e non essendo a questo punto possibile il fallimento sportivo pilotato. L’unico lieto fine possibile sarebbe quello dell’azionariato popolare, con i tifosi che prendono il controllo economico e gestionale della società. In Inghilterra ci sono, tra gli altri, gli esempi di Afc Wimbledon, United of Manchester e del Portsmouth. In Germania nessuno può possedere più del 49% di un club, aprendo così a forme di proprietà controllate dall’azionariato diffuso. In Italia ci si è arrivati, solo dopo il fallimento, a Taranto, Mantova e Ancona. Ma col Parma non sarà facile. Non appena sarà decretato il fallimento del club, infatti, il titolo sportivo sarà messo all’asta e qualunque imprenditore pagando solo i debiti sportivi con la federazione (poche decine di migliaia di euro) ed evitando di saldare gli altri (oltre 200 milioni) diventerà proprietario della società, dei trofei, e avrà in gestione uno stadio da 30mila posti. Servirebbe che un giudice, come nel caso del Portsmouth, riconosca gli “alti valori morali e sociali” dell’azionariato popolare e di un calcio gestito dal basso. Ci sarà pure un giudice a Berlino, diceva Bertolt Brecht, ma qui è più difficile trovarlo.