Un mese fa ho pubblicato un post sulla sentenza della Corte di Cassazione che il 27 gennaio scorso ha assolto tre assistenti sociali imputati per la morte del piccolo Federico Barakat, assassinato dal padre durante una visita “protetta” nella sede dell’Ausl di San Donato Milanese. Era il 25 febbraio del 2009. Antonella Penati da quel giorno lotta perché ciò che è accaduto a suo figlio non accada ad altri bambini e bambine che hanno il diritto di ricevere protezione dagli adulti e dalle istituzioni. Nella ricorrenza della morte di Federico si è svolto nel Palazzo di Santa Chiara, a Roma, il convegno La tutela del minore nel conflitto genitoriale. Vi ha partecipato anche Erica Patti che come Antonella Penati aveva denunciato la violenza e la pericolosità del marito da cui era separata chiedendo aiuto e protezione alle istituzioni e come Antonella ha subito il più atroce dei lutti: la morte dei propri figli Davide e Andrea per mano dell’ex (Pasquale Iacovone per quel crimine è stato condannato alla pena dell’ergastolo nel dicembre 2014). Le loro testimonianze dure e dolorose sono state ascoltate in una sala ammutolita: entrambe hanno perso i figli per l’imposizione del tribunale di non sospendere le visite del padre che commetteva stalking e minacciava di uccidere i propri figli.
Oggi conosciamo i numeri, i dati e le caratteristiche del femminicidio. Abbiamo leggi, protocolli e direttive internazionali per tutelare le vittime e bloccare i maltrattanti, eppure le donne troppe volte continuano ad essere ostaggio delle violenze del partner violento che spesso si serve della paternità in maniera strumentale per mantenere un legame finalizzato ad esercitare il controllo e a mantenere il potere sulla ex anche con minacce di azioni ritorsive contro i figli. Le donne chiedono aiuto alle istituzioni, ma non sempre ricevono risposte adeguate e spesso vengono ri- vittimizzate per la scarsa conoscenza delle dinamiche della violenza, l’inosservanza di procedure e leggi che dovrebbero tutelare le vittime o pregiudizi sessisti sulle donne. Durante il convegno è stata anche criticata fortemente la dogmatica applicazione del principio della bigenitorialità soprattutto quando da diritto dei minori di mantenere una relazione equilibrata e serena con entrambi i genitori si trasforma in un’arma nelle mani di adulti con problemi di violenza.
E’ lecito sospettare che contro gli strumenti per la tutela delle vittime di violenza, resista strisciante e incistata negli interventi istituzionali, una concezione patriarcale della famiglia che non riconosce la violenza maschile o addirittura la giustifica seguendo un concetto biblico per il quale il padre va “onorato” sempre e comunque a prescindere dalla qualità delle relazioni affettive che questo ha instaurato con i figli e senza chiedergli alcuna assunzione di responsabilità per le sofferenze causate.
Oggi non è affatto raro, purtroppo, leggere nelle relazioni dei consulenti del tribunale o del servizio sociale che se un uomo picchia, vessa, umilia psicologicamente la moglie o la compagna anche in presenza dei figli, è comunque un “buon padre” e che i suoi comportamenti violenti non hanno in alcun modo “compromesso” il ruolo genitoriale e la serenità dei figli. Tutto questo accade mentre pubblicamente si affronta il tema delle conseguenze psicologiche della violenza assistita nei bambini. E’ in atto una sorta di schizofrenia nel sistema degli interventi istituzionali: le vittime sono incoraggiate a denunciare ma poi intervengono una serie di variabili che possono rallentare fino ad ostacolare i percorsi di affrancamento dalle relazione violente e nel peggiore dei casi avviene una nuova vittimizzazione operata questa volta dalle istituzioni che lasciano commettere violenze agli uomini.
Maria Serenella Pignotti, medico legale ed Elvira Reale, psicologa e dirigente dell’Asl 1 di Napoli, sono intervenute al convegno: due anni fa avevano redatto l’Appello per il diritto del minore all’ascolto e alla tutela dalla violenza col quale chiedevano alle istituzioni di assumere contromisure contro l’abuso e il cattivo uso del diritto alla bigenitorialità che appartiene al bambino e non al genitore, deve essere offerto e non imposto. Inoltre, non può travalicare i diritti costituzionali prevalenti che sono: il diritto alla salute, all’integrità psico-fisica, alla libertà di espressione di sé, nonché il diritto ad essere ascoltato…perché…il rifiuto o la paura del bambino nei confronti di un genitore, in presenza di denuncia di violenze o maltrattamento, è da considerarsi, generalmente e fino a prova contraria, una naturale forma difensiva.