Infarcito di musica da camera 3.0, reminiscenze post-medievali, elettronica da sottotetto, romanze alienate, odi celestiali il nuovo album della compositrice islandese risente anche della separazione dal suo partner storico, l’artista Matthew Barney. L’ha rivelato la stessa Björk: “Quest’album è una cosa tradizionale basata sul songwriting. Quando ho iniziato a scrivere ho pensato che fosse troppo noioso e prevedibile. Ma poi le cose accadono e non ci puoi fare nulla”
Nuovo disco, per Björk. Messo in rete prima del tempo è arrivato prima della primavera. Il nuovo lavoro si intitola “Vulnicura”, ed è il nono della serie; nel realizzarlo, la cantante e attrice e performer islandese ha parzialmente abbandonato certe sue recenti (e ampollose) cosmogonie concettuali, multimediali e sonore. Si fa per dire: tra le varie filigrane di concept che vi scorrono dentro, un tot di meditazioni speculative e trascendentali, un set di metafore esistenziali, e una spruzzata di rimandi all’infinitamente grande e al microbiologico. Non manca, poi, una poderosa app di complemento, e a un certo punto vien da (ri)chiedersi: ma nell’arte dell’ex frontgirl dei Sugarcubes vengono prima le app, gli effetti speciali, gli eventi collaterali, o la viva musica? Che pure in questo “Vulnicura” (rispetto al precedente, incommestibile Biophilia) riconquista una sua centralità, una sua essenzialità, un suo rigore, benché molte delle canzoni siano state composte con un iPad, si dice.
Gli arrangiamenti sono asciutti e ondeggianti; la voce cristallo compresso; i suoni liquido-gassosi; le melodie riprendono spesso quota qua e là; più archi che battiti sintetici; la natura ancestrale viene irrigata e sbatacchiata dalle tecnologie contemporanee. Grazie anche all’impronta di produttori multidecorati come “Haxan Cloak” Krlic e Alejandro “Arca” Ghersi, sembra in fondo tutto così spontaneo e classico in Vulnicura: di quella spontaneità e classicismo invalsi nelle società del settimo millennio avanti Cristo. Infarcito di musica da camera 2.0, reminiscenze post-medievali, elettronica da sottotetto, romanze alienate, odi celestiali, “Vulnicura” risente anche della separazione dal suo partner storico, l’artista Matthew Barney. L’ha rivelato la stessa Björk: “Biophilia parlava dell’Universo, e di come le donne siano il collante tra moltissime cose: per capirlo ho dovuto viaggiare tra i sistemi solari. Quest’album invece è più una cosa tradizionale basata sul songwriting. Quando ho iniziato a scrivere ho pensato che fosse troppo noioso e prevedibile. Ma poi le cose accadono e non ci puoi fare nulla”.
I nostri pezzi preferiti da Vulnicura, ascoltati, e chi sa perché, subito dopo e subito prima l’ultimo dei krauti Faust? Quelli che si dimenticano, per un momento, di una malintesa avanguardia a tutti i costi e che crescono piano, piani, ipnotici, levitando nello Spazio: diciamo quindi “Stonemilker”, stile musical multi-level, Dancer in the dark of 2015;e “Atom Dance”, salmodiata insieme ad Anthony. Intanto anche il MoMA di New York la celebra, dedicandole una mostra: la retrospettiva, che inaugura proprio l’otto marzo, ripercorrerà i 20 anni e rotti di carriera della più famosa donna d’Islanda. Björk declinerà la sua opera attraverso suoni, film, oggetti, costumi. Tra biografia e immaginazione. Non mancherà un’installazione ambientale con musica e film. “Björk è un’artista straordinariamente innovativa il cui contributo alla musica contemporanea, al video, al film, alla moda e all’arte ha avuto un impatto enorme sulla sua generazione a livello globale” ha dichiarato il direttore del MoMa. E se lo dice lui.