Quest’anno non abbiamo ancora avuto l’occasione di seguire il nuovo Braccialetti Rossi, ma siccome la nostra specialità non è vedere la televisione quanto osservare le reazioni del pubblico per il gusto di ragionarci sopra, ci ha colpito la notazione negativa di un prestigioso critico, che di quella fiction ha notato la “melensaggine”. Cioè l’affollarsi di banalità leziose e/o insulse e/o sdolcinate (secondo un affermato dizionario della lingua italiana).
Ma siccome a vedersi il tutto sono state di nuovo, come nella passata stagione 6,5 milioni di spettatori di cui moltissimi giovani, fatto inusuale per RaiUno (fra le quasi teenager attorno ai quattordici anni si arriva al 53% di share) siamo costretti a dedurre, che quel che al critico è parso banale e/o lezioso e/o sdolcinato tira alla grande. E potremmo concluderne che, dimmi cosa vedi e ti dirò chi sei, le stesse mediocri caratteristiche appartengono a chi quella roba la vede, e cioè almeno a un quarto degli italiani. Un sillogismo che carsicamente riappare nel rapporto nella critica stampata, e che spessissimo emerge nei commenti raccolti da Sciò Business, che spesso si fanno sotto per dichiarare la tv terra vietata a chiunque possieda il ben dell’intelletto.
Noi la vediamo diversamente perché ne facciamo una questione di linguaggio, tutto derivando dalla circostanza che la comunicazione di massa non possa evitare la “accentuazione” di tutto, dalle azioni ai sentimenti, che altrimenti resterebbero impercepibili e inafferrabili da parte del pubblico. Perché la complicità distraente della casa rende lo spettatore più forte dell’attore. È per questo che il cinema, che il pubblico lo cattura in sala, può praticare un maggior grado di sottigliezza, mentre se parli all’aperto, tanto più da un pulpito lontano, devi caricare i connotati. Mussolini faceva le facce esagerate, e Hitler pure, perché non c’era la televisione a consentirgli il primo piano confidenziale (state certi che se oggi facessero parte della compagnia dei talk show praticherebbero una espressività assai diversa, come fanno del resto i loro eredi).
E comunque, se sei in televisione puoi sì spremere confidenza dai primi piani dei leader o intimità dai volti degli attori, ma tutto al servizio di sentimenti e valori “accentuati”, che devi rendere “visibili” nonostante che non siano fatti di materia visibile. Altrimenti stai lì, vedi le lacrime che si incrociano con i sorrisi e gli sguardi, ma non capisci bene perché.
Questa è, a ben pensare, la stessa ragione che fa prosperare i format, cioè strutture ripetitive che si installano come cookies nella memoria dello spettatore, che fa dilagare i tormentoni e fa fiorire le formule liturgiche (“siamo ora all’attesissimo momento …”). Strumenti di repertorio espressivo che fanno parte del patto con il pubblico praticamente da sempre, basti pensare alla elementarità delle sacre rappresentazioni o all’uso teatrale delle maschere, associate a personalità standardizzate. Per non dire della elementare forza dei plot verdiani, fra giovanette rapite, duchi cattivi e buffoni incattiviti.
E dunque i casi sono due: o la comunicazione di massa è irrimediabilmente melensa o melenso, cioè banalotto, è chi si industria ad applicarle categorie di giudizio che non la riguardano e che non ne spiegano i flop e i top.