Niente di nuovo sul fronte occidentale. Per il presidente americano Barack Obama, il discorso sul nucleare iraniano tenuto ieri al Congresso dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, non conteneva alcuna novità e non ha offerto nessuna valida alternativa per impedire che l’Iran si doti delle armi nucleari. Lo schiaffo del presidente Usa a Netanyahu arriva dopo settimane di polemiche sull’opportunità di tenere un discorso alle camere riunite del Congresso, nonostante l’opposizione dell’amministrazione Obama e l’approssimarsi delle elezioni politiche in Israele del 17 marzo.

Le parole del premier sono state apprezzate da molti israeliani convinti della necessità di fermare Teheran dallo sviluppo di una propria industria nucleare. Tuttavia, l’impressione generale, sentita in particolare dalla stampa, sarebbe che Netanyahu abbia cercato d’imporre all’alleato statunitense la propria agenda sul delicato tema del nucleare iraniano, e di sfruttare l’alto scranno del Congresso per fini mediatici ed elettorali, cercando di dare una spinta al proprio partito politico, il Likud, al momento dato a 2-3 seggi in meno rispetto alla controparte dell’opposizione.

Secondo Nimrod Goren, presidente del think tank israeliano sulla politica estera Mitvim, “il discorso al Congresso americano e la polemica a esso relativa hanno facilitato Netanyahu a ridefinire l’agenda della campagna elettorale, allontanando dalla discussione i temi che l’avevano indebolito nei mesi precedenti”, come le accuse di corruzione e abusi che hanno coinvolto la moglie Sara e le problematiche socio-economiche dei cittadini israeliani, meglio affrontate dai partiti di centro-sinistra.

Se Netanyahu ha cercato di portare la discussione elettorale verso temi che affronta con più agilità e che gli hanno sempre garantito l’elezione, l’opposizione non sta con le mani in mano. Dopo l’uscita di Netanyahu dal Congresso, Isaac Herzog – segretario del partito laburista HaAvoda e leader del cartello di centro-sinistra Unione Sionista insieme a Tzipi Livni – ha tenuto “un discorso di reazione”, come l’ha definito, dal piccolo moshav di Nir Moshe, a pochi chilometri dalla Striscia di Gaza.

“Dopo gli applausi di Washington, Netanyahu è solo, Israele è isolato, la distanza tra noi e il nostro alleato strategico è più grande e i negoziati con l’Iran andranno avanti senza i nostri input” – ha affermato Herzog, proponendosi come leader responsabile in grado di risolvere i problemi del paese. “Non solo la minaccia iraniana, che nessun governo israeliano sottovaluterà mai”, ha continuato, ma anche i problemi che Netanyahu mette in secondo piano, come la disoccupazione nel sud del Paese, la povertà di larghi strati di popolazione, l’alto costo della vita e un piano di pace con i palestinesi. A dare manforte al leader laburista è stata Shelly Yachimovich, ex leader di HaAvodà sconfitta alle primarie proprio da Herzog. “Buji – soprannome del segretario – avrebbe tenuto lo stesso discorso di Netanyahu, ma il presidente e il vice-presidente Usa vi avrebbero partecipato”.

Di tutt’altro avviso è Naftali Bennett, segretario di HaBayit HaYehudi, partito a destra del Likud e vicino alle posizioni dei coloni in Cisgiordania. Secondo Bennett, l’opposizione israeliana avrebbe fatto meglio a evitare di criticare Netanyahu e a seguirlo a Washington per sostenerlo in una battaglia – quella contro l’Iran nucleare – che non è solo della destra israeliana, ma “di tutto il popolo ebraico”.

Nei giorni più importanti della campagna elettorale, Netanyahu al Congresso Usa tra gli applausi dei deputati e senatori americani, “è un’immagine – spiega ancora l’analista Goren – che rischia di far affluire al Likud non solo i voti degli indecisi, ma anche di coloro vicini ai partiti di centro e di destra”, che potrebbero riconoscersi più in Bibi, l’uomo forte che mette sotto scacco il presidente della più grande superpotenza al mondo per salvaguardare gli interessi del Paese, che in Bennett, Lieberman o Moshe Kahlon. Ed è proprio quest’ultimo, ex Likud, oggi a capo del partito di centro Kulanu, che i recenti sondaggi individuano come l’ago della bilancia in grado di definire se il paese sperimenterà un quarto governo Netanyahu o un esecutivo guidato dall’Unione Sionista.

I rilevamenti elettorali degli ultimi giorni danno al cartello di Herzog/Livni 2-3 seggi in più rispetto al Likud, ma non si hanno ancora i sondaggi post-Congresso. Pur se in difficoltà, fronteggiato da un’opposizione decisa a non lasciarsi sfuggire l’occasione di governare il Paese, Netanyahu continua ad avere i numeri per costruire una maggioranza più larga rispetto a una di centro-sinistra. Questi ultimi giorni faranno il governo.

di Alessandro Di Maio

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