Più che giocarlo, The Order: 1886 va assaporato lentamente, vissuto intensamente e per molti versi compreso. La scommessa di Ready at Dawn (perché di questo si tratta, di una scommessa) non è un prodotto di facile lettura, né un blockbuster adatto a qualsiasi palato. Non è uno di quei videogiochi in grado, sin dalla prima schermata, di convincere il pubblico astante che sì, finalmente la next-gen è davvero arrivata. O meglio: ci riesce, ma solo parzialmente.

La Londra vittoriana disegnata dagli artisti della software house con base in California, che per la cronaca è capitanata dall’italianissimo Andrea Pessino, è abbagliante. Una città così viva, così dettagliata, così “reale” non l’avete mai vista, almeno non su console. Il motore grafico modellato per l’occasione tira fuori il meglio dai chip di PlayStation 4: modelli poligonali magistralmente animati, scenari ampi e pullulanti di particolari pronti a raccontare minuscole storie, effetti luce incredibili e capaci di lasciare a bocca aperta. Il tutto è accompagnato da un art design che mescola realtà storica, volti noti e scorci esistiti ed esistenti della metropoli inglese, con un immaginario fantasy e steampunk. La Regina Vittoria incontra un Nikola Tesla impegnato nella creazione di armi avveniristiche, il quartiere di Whitechapel è sorvolato da giganteschi dirigibili, i Cavalieri della Tavola Rotonda di Re Artù, con l’aiuto della tecnologia e della Linfa Nera, una panacea in grado di curare qualsiasi ferita e donare una longevità inimmaginabile, combattono la minaccia dei Lycan.

L’epopea di Sir Galahad, protagonista dell’avventura, la sua lotta per la verità e libertà ancor prima che contro gli acerrimi nemici, che per ambizioni e violenza non sono così diversi dagli umani, è ulteriormente impreziosita da una sceneggiatura e una regia caparbia. Il ritmo serratissimo con cui la vicenda si sviluppa non lascia spazio alla noia, le inquadrature e la recitazione degli attori digitali restituiscono con efficacia la drammatica e progressiva disillusione del protagonista e la spettacolarità degli scontri.

Artisticamente, per farla breve, The Order: 1886 è davvero “next”, in un accezione del termine che, per certi versi, supera la contemporanea e quotidiana concezione del medium videoludico. Come da anni cerca di fare Hideo Kojima con i suoi Metal Gear Solid, anche Ready At Dawn ha tentato di mettere in discussione il rapporto che solitamente lega le fasi interattive da quelle che non lo sono, raggiungendo un compromesso solo parzialmente riuscito. Perché se l’universo immaginifico messo in scena è strepitoso e credibile, se il noto game designer nipponico è sempre riuscito a far dialogare le sue ambizioni cinematografiche con meccaniche ludiche innovative e frizzanti, a The Order: 1886 manca la stessa efficacia nelle fasi puramente ludiche.

Alcune sezioni, come quelle stealth, non fanno in tempo a svilupparsi pienamente, quelle sparatutto, che compongono l’ossatura dell’avventura e definiscono il genere d’appartenenza della produzione, nella loro totale assenza di novità rispetto al modello di riferimento (Gears of War), osano fin troppo poco rispetto agli spunti ispiratissimi che lasciano solo intravedere. Un level design generalmente rinunciatario e un numero fin troppo esiguo di battaglie degne di questo nome, fagocitano la bontà dell’arsenale e del sistema di controllo quanto mai fluido, preciso e capace di restituire, con violenza, il feedback di ogni colpo esploso.

A The Order: 1886, in definitiva, manca equilibrio. Stordisce con un comparto artistico maestoso, delude con un gameplay comunque appagante ma evidentemente soffocato da scadenze e costi di sviluppo che avevano già superato i limiti imposti. Vale la pena giocarlo? Certamente, ma a patto di accontentarsi di un prodotto più bello da vedere che da giocare. In attesa di un sicuro secondo capitolo che possa sancire il definitivo successo di questo nuovo brand di Sony.

A cura di Lorenzo Fazio

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