THE SEARCH di Michel Hazanavicius – Francia 2014, dur. 140 – Con Bérénice Bejo, Annette Bening
Ci vuole un bel coraggio dopo aver vinto un Oscar per un film muto (The Artist) con un cagnetto in scena, gettarsi a capofitto tra le macerie islamico cirilliche di un dramma di guerra in terra cecena fine anni ’90. Michel Hazanavicius svolge il suo compito d’ “autore” con coscienza mostrando un conflitto sporco ed ostico, che l’occidentalismo progressista non ha mai concretamente sentito come urgenza umanitaria. The Search è così un limpido e iperrealistico filmone con ben tre bordoni narrativi – l’orfano in fuga dalle bombe, la funzionaria occidentale dal cuore d’oro, il ragazzetto russo alternativo trasformato in macchina da guerra – che si sfiorano, incrociano e riuniscono con una chiosa ellittica che spinge alla riflessione sul punto di vista del cineasta di fronte alla tragedia. Un film sì sull’orrore della guerra, ma soprattutto sulle sue origini etiche e le sue conseguenze sociali. Cast di semiprofessionisti di tutto rispetto. Pur indossando grisaglie compunte mentre pela patate, la Bejo mostra comunque una sua delicata grazia. 3/5
NESSUNO SI SALVA DA SOLO di Sergio Castellitto – Italia 2015, dur. 100 – Con Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca
Un uomo e una donna, oggi. La generazione under 40 che cerca la realizzazione di sé appoggiando mani, piedi e conto in banca alle generazioni dei padri, proletari o alto borghesi che siano. Poi la lite, le corna, l’equilibrio che fatica a tornare. E probabilmente l’amore che trionferà. Castellitto fa un film politico proprio perché alieno alle codificabili coordinate di sguardo, montaggio e parola che la massa produttiva romana, e i diritti del passaggio in tv, propinano come mantra impositivo e insostituibile. Certo, il dialogare letterario popolare e rozzo “mazzantiniano” ogni tanto porta il racconto dove vuole lui, ma per una volta Roma non è Roma sottolineata da pizzicagnoli e frasari ridanciani, ma uno spazio, un luogo urbano universale dove incontrarsi, perdersi e ritrovarsi. Il sottofinale con Vecchioni, Angela Molina e la preghiera fa da onirico coté per un regista che dell’incanto e della sorpresa tra un’angolazione dell’inquadratura e un passaggio imprevisto del racconto ne ha più o meno volontariamente fatto una cifra personale. 3/5
BLACK OR WHITE di Mike Binder – Usa 2014, dur. 120 – Con Kevin Costner, Octavia Spencer
Spiace vedere Kevin Costner con pancetta e capelli tinti ramati alla Paolo Limiti trotterellare nell’ennesimo claudicante capitolo da solitario finale di carriera. Stavolta è un nonno (!) avvocato e vedovo a cui piace bere, con figlia morta e nipotina da accudire nata da papà afroamericano e tossico, che a sua volta ha una bella famigliola nutrita e caciarona con una nonna altrettanto barricadera decisa a riavere la nipote. Courtroom movie per l’assegnazione della bambina venato da messaggio antirazzista, Black or white è uno di quei minuti pamphlet velati di buon senso e di approssimazione recitativa, registica, tecnica, con uno spessore politico di una di quelle bottiglie di whisky Black or White (che l’avvocato interpretato da Costner berrebbe volentieri) con i due scottish terrier accucciati uno a fianco all’altro. Nella sequenza in cui Costner, ubriaco e frastornato dalla botte subite, finisce impigliato nel telone da piscina si rischia la ridicolaggine. 1/5