“Mi scusi, dove lo trovo Oliver Sacks?” Risposta del commesso della libreria: “Oggi non s’è visto”. Un tempo si ironizzava sull’ignoranza di alcuni clienti e le richieste più assurde. Genere: “Avete Sequestro un uomo?” Ora sulle risposte assurde che un cliente sente dal libraio, o meglio commesso di libreria, visto che tra le due figure c’è differenza. Quella relativa a Sacks l’ha ricevuta Severino Cesari, editor di Einaudi Stile Libero. Altri dicono che chiedendo Il diario di Anna Frank si sono sentiti rispondere: “C’è rimasto solo quello di Violetta…” Ma questa forse è inventata. Comunque sia: se le parti degli aneddoti si sono invertite è anche perché le librerie indipendenti chiudono. Ne sono rimaste un migliaio in Italia, da circa seimila che erano. A causa della crisi, della concorrenza di Amazon e della grande distribuzione. Non dico l’Esselunga ma le catene Feltrinelli e Mondadori, dove spesso i commessi sono giovani, inesperti. Il mestiere del libraio rischia di perdersi. È minacciata la bibliodiversità, lo spazio per i piccoli e medi editori, i titoli di qualità, fuori dalle logiche sempre più commerciali dei grandi gruppi. Se questa terra di mezzo si desertifica, oltre il confine c’è solo il selfpublishing. “Più efficace dei regimi totalitari, il mercato si impone soft e inesorabile” ha scritto Magris. Nella cosiddetta capitale italiana dell’editoria, si parla del fenomeno almeno dal 2012, quando la libreria Utopia ha lanciato l’allarme chiusura e il suo nome ha rischiato di diventare destino: “Utopia chiude. Utopia riapre. Utopia chiude di nuovo. Utopia riapre di nuovo”. Con il fotografo Fabrizio Annibali abbiamo passato un paio di giorni spostandoci tra quattro librerie indipendenti. Oltre a Utopia: Gogol & Co., Libreria del Mondo Offeso e Libreria Popolare. Per osservare i clienti, parlare con i librai, cercare di percepire l’atmosfera.
Utopia, Brera
Oggi si trova in via Marsala n. 2, tra corso Garibaldi e via Solferino. Non lontano da Largo la Foppa, la sede originaria, dove era rimasta come ultimo baluardo contro la trasformazione del quartiere in sede della movida alla Fabrizio Corona. Lì ora c’è l’ennesima focacceria in franchising. Lucio Morawez, il titolare, si tocca la barba marxiana, dietro a un grande ritratto a olio di Lenin – regalo di un’amica e dei tempi dell’Urss -, mentre spiega che ha rinunciato alla formula mista. Cioè a servire birre, vino e cibo. Una scelta controcorrente, frutto del “controesodo” a Brera dopo un anno e mezzo in Città Studi: “Abbiamo notato che la ristorazione mangia il libro”. Ma se qualcuno vuole leggersi un libro qui bevendo qualcosa? “Si può portare il vino da casa, i tavolini ci sono”. Perché ha chiuso la sede storica? “Semplicemente perché si vendevano meno libri e non si potevano più sostenere le spese”. Perché non ha funzionato in Città Studi? “Non c’era passaggio, non eravamo radicati nel quartiere, come lo siamo qui”. Anche in via Marsala l’affitto non deve essere da poco: perché non ha preso in locazione uno spazio commerciale del comune a prezzo politico? Risponde che avere prezzi politici non gli sembra corretto – “Perché io sì e uno che vende preservativi no?” – e soprattutto: “Sono andato a vederli tutti, ma si trovano tutti in posizioni che non vanno bene. Non c’è passaggio. E in più devi spostarti in un quartiere diverso da quello in cui sei radicato”. Piuttosto di un aiuto di tipo assistenzialista Morawez chiede iniziative per favorire la lettura tra i giovani, nelle scuole: “Il numero di italiani sopra i sei anni che leggono almeno un libro l’anno è diminuito dal 44 al 41 per cento nel 2014. Dati da terzo mondo”. Si prepara una serata dedicata a Linus. La rivista compie 50 anni. E una sul volume di lettere di Oscar Wilde, edito dal Saggiatore. “Noi non vendiamo romanzetti rosa per signore rincoglionite”, conclude Lucio. Lo spazio per gli eventi è il seminterrato, sotto vecchie volte di mattoni rossi, tra pareti e librerie bianche.
Gogol & Co., tra via Savona e il Giambellino
Danilo Dajelli si è formato alla scuola per librai Umberto ed Elisabetta Mauri e ha lavorato per un po’ da Utopia con Lucio. Poi ha preso la sua strada. Insieme a un gruppo di amici e alla moglie, ha aperto Gogol & Co., in fondo a via Savona, parallela di via Giambellino: dunque moda e design, non solo La ballata del Cerutti. Sembra di essere a Brooklyn qui. La piazza è stata riqualificata benissimo ma era un’area industriale e l’affitto non è proibitivo. Gli spazi della libreria sono ampi e luminosi. Oggi ci sono due ragazzi della Bocconi che studiano e usano il wifi per il computer portatile, un gruppo di georgiani che mangiano, non solo acquirenti di libri. L’intenzione era quella di creare un punto di incontro, per discutere, studiare, leggere. Danilo è giovane – piercing, tatuaggi – e si è dato molto da fare. La cosa che colpisce è la ricerca che ha fatto non solo nei titoli ma anche nei prodotti che serve nella parte dedicata al cibo, pane in primis: “Siamo undici dipendenti, nessuno di noi, compreso me che sono il titolare, guadagna grandi cifre, io ho uno stipendio di 1200 euro per dire, ma siamo ricompensati dal piacere di lavorare bene e siamo in attivo. Andiamo a visitare i produttori di vino, formaggi e salumi che lavorano in un certo modo e questo è un privilegio. Per quanto riguarda i libri… Sinceramente a me dei grandi gruppi editoriali e della concentrazione dei distributori non frega più di tanto. Sono fenomeni inquietanti ma io ho cercato subito di essere complementare, di seguire una logica diversa. Ho instaurato un rapporto con editori come minimumfax, Sur, Quodlibet, che sta facendo cose magnifiche, Iperborea, ma anche Einaudi. Ne potrei citare molti altri. Se ho problemi ad avere un titolo chiamo in redazione. A me non interessa il rappresentante”. Difficile trovare un salame di Varzi buono a Varzi figuriamoci a Milano. Ecco: qui c’è. Ma anche, per dire, un’ampia sezione dedicata a un editore come Voland. Tutti i titoli di Prilepin. Qui ha presentato il suo ultimo romanzo Nicola Lagioia, La Ferocia, candidato allo Strega. Gogol & Co. è da considerare un caso di successo importante non solo nel contesto librario ma anche per la riqualificazione di un’area. Un presidio culturale e sociale. Bellissima la toilette: con l’autore del romanzo Le anime morte ritratto sulla porta nell’atto di sedersi sulla tazza – in fondo anche i geni hanno un corpo. Cibo e vino: chi può capirlo meglio di un russo?
Libreria del mondo offeso, tra Chinatown e Parco Sempione
Laura Ligresti, della Libreria del Mondo Offeso, ha fatto la scuola per librai con Danilo. Ha aperto nel 2008, proprio l’anno della crisi, in corso Garibaldi, ma ha cambiato sede nel 2013. Non è ritornata ma prova nostalgia di Brera: “L’affitto non era sostenibile ma naturalmente lì c’era più passaggio. Capisco benissimo il discorso di Lucio di Utopia”. Ora la Libreria del Mondo Offeso si trova in via Cesariano, traversa di via Canonica, dove c’è un giardino pubblico. Siamo tra il parco Sempione e Chinatown, Paolo Sarpi non è lontana. Vicino alla cassa ci sono molte edizioni, più o meno rare, di Vittorini. “Un capitolo di Conversazione in Sicilia si intitola Il mondo offeso”… Avete clienti cinesi? “Vengono gli studenti cinesi per comprare i libri che gli danno da leggere a scuola”, dice Laura. Sostieni che non c’è passaggio ma il parco è piuttosto frequentato. “Sì ma non da persone che comprano libri”. Laura lamenta la difficoltà di rapportarsi ai grandi gruppi editoriali… Che nel frattempo tra l’altro stanno per diventare solo due con la probabile nascita della Mondazzoli come l’ha chiamata Busi: “È scomparsa la figura del rappresentante di libri. Una figura fondamentale. Le aziende tagliano i costi e risparmiano sul personale. Pensano di poter fare tutto al computer. Ti inviano il materiale via Internet. Migliaia di titoli. Il rappresentante di libri sapeva che cosa è nelle tue corde. Il rapporto personale, il fattore umano è importante. Non si può sostituire con una macchina. Io per esempio vendo molto i libri che leggo, mi piacciono e li propongo ai clienti. Ho impiegato un mese ad avere Sottomissione di Houellebecq. Adesso è arrivato ma il momento buono è finito!” La libreria fa anche da bistrot. Se Gogol & Co. è newyorchese qui c’è un’atmosfera più parigina, anche nel menù. Ci sono alcuni tavoli, d’estate anche all’aperto, il wifi. È ora della pausa pranzo, arrivano clienti. Altri arriveranno per l’aperitivo. Un cartello dice: “I libri si mangiano sconditi”. Per evitare che qualcuno se li porti al tavolo. Ci sono cimeli della sede di corso Garibaldi, insegne di ferro battuto… Al netto dei molti fattori sfavorevoli e considerando i cambiamenti attuali difficilmente reversibili, la domanda è: si riesce a stare in piedi? “Ci vuole tanta passione, se si guardasse al guadagno si chiuderebbe”, dice Laura. Un giovane studente di lettere e una ragazza con il cane si aggirano tra gli scaffali. Laura è contenta e nota come ormai sia sempre più raro vedere giovani in libreria. All’amministrazione comunale chiede meno burocrazia: “Veltroni, quando era sindaco di Roma, ha dato la possibilità di adibire il 10 per cento dello spazio alla ristorazione. Queste sono le cose da fare”. Alla politica una legge sugli sconti più seria, come in Francia. Il piccolo libraio non si può permettere sconti. Il margine lordo su un libro è del 30 per cento: 3 euro su 10. Uno sconto del 10 per cento per il libraio è un terzo del margine. Poi ci sono le spese. Un dipendente costa 30mila euro l’anno. Quanti libri bisogna vendere per stare in piedi?
Libreria Popolare, Porta Venezia
La Libreria Popolare, in via Tadino n. 18, nel quartiere vivace e multietnico di Porta Venezia, è anche sede legale della Lim, l’associazione delle librerie indipendenti milanesi. Guido Duiella, il titolare, ne è stato il primo presidente (oggi il presidente è Samuele Bernardini, della Claudiana, libreria valdese che si trova vicino al tribunale). “Il nostro statuto prevede l”alternanza. Nessuno di noi è interessato a crearsi una posizione di potere. Siamo nati nel 2013 per fare rete, vincere l’isolamento. Forniamo un supporto, come librai indipendenti, per il festival Bookcity. Abbiamo dato noi l’idea di uno spazio dove vendere i libri al Castello. Alla prima edizione, nel 2012, ci avevano ignorati” dice. Le librerie associate sono ventisei, ci sono anche nomi importanti come Centofiori, in piazzale Dateo. Non Gogol, Utopia e Mondo Offeso. Anche per Guido Duiella è fondamentale il legame con il quartiere, la difesa della bibliodiversità e del mestiere di libraio: “I grandi editori sbagliano a snobbarci puntando solo sulla grande distribuzione. Così creano il deserto. Le piccole librerie coltivano i lettori sul lungo periodo”. Nonostante la crisi si cerca di rilanciare: “Ci siamo allargati. Ho preso in affitto lo spazio seminterrato che si trova in cortile, per le presentazioni. Qui si trova anche la sede dell’associazione Anna viva, dedicata alla Politkovskaja, la giornalista uccisa a Mosca”. E si raccolgono libri da inviare nelle carceri per far sì che non si lamentino come il galeotto Humbert Humbert di Lolita. Niente angolo-bar. La libreria è fitta di volumi come nessun altra (c’è anche una sezione per i ragazzi) ed è aperta dal ’74. Molta la saggistica, compresi titoli recenti ma già introvabili nelle Feltrinelli e Mondadori dove il turnover negli scaffali è frenetico. Una notevole sezione, alle spalle della cassa, riguarda la bestia nera delle vendite: la poesia. Nessuna concessione al marketing: niente pile di libri di Fabio Volo, per dire. O chi per esso. Il libraio non fa la vetrina sulla base delle promozioni pagate dagli editori ma secondo i suoi gusti. Da Gogol a dire il vero Fabio Volo c’è ma è nello scaffale dei libri da cesso, che si trova alla toilette.