Politica

Renzi: “Boldrini fuori da perimetro istituzionale. Certe valutazioni non le spettano”

Il presidente del Consiglio, intervistato da L’Espresso, sostiene che la terza carica dello Stato e Maurizio Landini siano espressione di un movimento a lui ostile. Sugli accordi dice: “Tratto con B, Grillo si marginalizza”

Avanti un altro. E’ rimasto “scottato” dall’atteggiamento di Silvio Berlusconi sull’elezione di Sergio Mattarella, individua Renato Brunetta come responsabile della rottura del patto del Nazareno, dice che con Beppe Grillo non tratta perché è lui che “si marginalizza”, definisce la battaglia della minoranza Pd sulla legge elettorale “incomprensibile”. E se con Maurizio Landini ha ingaggiato un duello già da settimane, ora tocca a Laura Boldrini. Il capo del governo Matteo Renzi, in un’intervista all’Espresso, mette nel mirino la presidente della Camera colpevole di aver criticato la scelta di utilizzare eventualmente un decreto per la riforma della Rai: “Non c’è urgenza”, aveva detto la Boldrini. Ma la terza carica dello Stato era stata protagonista di un intervento anche sulla riforma del lavoro, perché aveva rilevato come il governo avesse ignorato parte dei pareri non favorevoli delle commissioni di Camera e Senato sul Jobs act. Secondo il capo del governo, dunque, la Boldrini è uscita “dal suo perimetro di intervento istituzionale con valutazioni di merito se fare o no un decreto che non spettano al presidente di un ramo del Parlamento”. “Non mi spiego – aggiunge Renzi – certe posizioni che ha preso negli ultimi giorni”. Quindi indica i comportamenti della presidente della Camera come quelli di una leader della sinistra, al pari di Maurizio Landini: “Non capirei – risponde il capo del governo – certe contestazioni che ho ricevuto in alcune fabbriche da parte della Fiom se non in base a un disegno politico”.

“Io ho mantenuto il patto, B no. Grillo? Si marginalizza”
Quanto alle relazioni con le altre forze politiche per le riforme istituzionali il capo del governo aggiunge che “Berlusconi è il capo del principale partito dell’opposizione, dato che Grillo si tiene fuori da tutto, si marginalizza da solo. Ma sono rimasto molto scottato dall’atteggiamento di Berlusconi sull’elezione di Mattarella“. Il presidente del Consiglio spiega cos’è successo prima dell’elezione del capo dello Stato: “A Berlusconi abbiamo detto: ti diamo un nome nostro che puoi votare, molti dei suoi lo hanno fatto. Se gli avessimo dato una terna, come nel 2013, gli avremmo consegnato il diritto di scelta. Saremo anche di destra, come dice qualcuno di voi, ma almeno questo errore non lo abbiamo fatto”. Quindi la conclusione è che “io ho mantenuto il patto, Berlusconi no. Penso perché costretto da Brunetta. E da qualche stratega illuminato di Palazzo Grazioli. Dal primo giorno il capogruppo di Forza Italia alla Camera, a differenza del Senato, ha remato contro le riforme e il patto del Nazareno. Brunetta ha lavorato per fare fuori le colombe”. Verdini è tra le colombe? “Verdini è un pragmatico, che conosce la prima regola della politica: i rapporti di forza. Sa che abbiamo i numeri anche da soli. Io l’ho sempre detto a Berlusconi: il patto con te lo faccio per un atto politico, non per una necessità numerica. Lui ha cambiato idea, i colloqui tra Brunetta e una parte della minoranza del Pd lo hanno convinto che sulla riforma costituzionale mi sarei fermato”. Ma ora Renzi si augura che “Forza Italia torni alla ragionevolezza: questa norma l’abbiamo scritta insieme. Come spiegheranno il voto contro?”.

“Bersani sull’Italicum è incomprensibile”
Ma sulle riforme istituzionali una risposta è indirizzata anche alla minoranza del Partito democratico e in particolare a Pierluigi Bersani: “La sua battaglia su dettagli della legge elettorale è incomprensibile. So che nel Pd c’è una parte che dice di no a tutto per principio. Faccio le riunioni? Troppo poco. Non le faccio? Vuol dire che decido da solo”. E ribadisce di “rispettare” l’ex segretario democratico “ma non abbiamo mai trovato un canone di feeeling personale. I suoi suggerimenti su tante questioni sono preziosi”. Scendendo nel merito delle riforme istituzionali il presidente del Consiglio rivendica che “stiamo facendo un grandissimo lavoro: riorganizzare lo Stato significa superare il Senato, le province e scommettere sull’innovazione tecnologica e la semplificazione”. E non è all’ordine del giorno un accorpamento delle Regioni: “Non ho niente in contrario, ma il tema non è all’ordine del giorno. Non ci sono i numeri in questa legislatura, non siamo riusciti neppure a inserire nella riforma della Costituzione un emendamento sulle macro-regioni”.

“Scuola? Prima dittatore poi accusano di non decidere”
Poi c’è il tema della scuola che si intreccia proprio con il modello di rapporto tra governo e Parlamento e quindi necessità di approvare i testi in tempi che non siano ere geologiche e l’esigenza di far discutere, modificare e migliorare i provvedimenti da parte delle Camere, opposizioni comprese. “Mettiamoci d’accordo – afferma – prima mi accusano di essere un dittatore che vuole fare tutto da solo, se presento un disegno di legge aperto alla discussione mi accusano di non decidere. Ci sono sei mesi prima di assumere i precari (della scuola, ndr), vediamo se la legge va avanti o se ci sarà il requisito di urgenza per un decreto” e però “sulla scuola ci siamo impegnati con il presidente della Repubblica e con le opposizioni a presentare meno decreti possibile“. Sul rapporto con i ministri il presidente dice che “il consiglio è un organo collegiale. Mi dicono che esagero, perché l’articolo 95 della Costituzione prevede la responsabilità dei ministri sui loro dicasteri. Ma in tutti questi anni si è esagerato in senso opposto. Non esiste che un ministro faccia un decreto e poi venga a comunicarcelo”.

“L’elicottero continuerò a prendere se sarà necessario”
Renzi parla anche delle polemiche sull’elicottero (“L’ho preso e continuerò a prenderlo. Tutte le volte che sarà necessario”) e manda un messaggio che provocherà qualche attimo di tensione tra gli alleati della maggioranza: “Sulle unioni civili – dice – dobbiamo procedere con la stessa determinazione che abbiamo messo sulla legge elettorale. Fare le cose di sinistra”. Per la riforma della Rai non ci sarà un decreto: “Mi piacerebbe che ogni rete avesse la sua identità. Dovranno avere un’identità culturale. Rai Uno generalista, su Rai Due l’innovazione e la sperimentazione, su Rai Tre la cultura. E non voglio più andare in giro per il mondo con cinque microfoni della Rai a intervistarmi. Ne basta uno“.