Inutile. I casi previsti sono gli stessi della legge 117/1988. Le nuove fattispecie (travisamento del fatto e delle prove) sono solo un altro modo di descrivere quelle già esistenti: affermazione di un fatto incontestabilmente escluso dagli atti processuali e negazione di un fatto incontestabilmente risultante dagli atti processuali. Si tratta dell’errore marchiano, del giudice che non ha letto gli atti: condanna l’imputato perché Tizio lo ha visto mentre rapinava la banca; ma non è vero, Tizio non esiste o – se esiste – non ha mai detto di averlo visto; oppure assolve perché nessuno ha visto l’imputato rapinare la banca; ma non è vero, Tizio ha testimoniato di averlo visto. Anche la violazione della legge comunitaria, che non era espressamente prevista nella legge precedente, non è fattispecie nuova: le leggi Ue fanno parte dell’ordinamento giuridico nazionale e devono essere applicate come qualsiasi altra legge; si tratta dunque di una specificazione inutile.
Dannosa. Con la vecchia legge le richieste di risarcimento erano sottoposte a un preventivo giudizio di ammissibilità: il Tribunale sentiva le parti e, se la domanda non rispettava le regole di procedura o era manifestamente infondata, la dichiarava inammissibile. La nuova legge ha eliminato questo filtro: si deve procedere obbligatoriamente al processo. Siccome una domanda infondata o che non rispetta le regole di procedura va comunque respinta, e siccome chi la respinge è lo stesso giudice che l’avrebbe dichiarata inammissibile, l’abolizione del filtro significa solo che a questo risultato si arriverà dopo un certo numero di udienze invece che con una sola udienza. Insomma, più processi. Del che proprio non c’è bisogno, visto che la durata media del processo civile è di 8 anni e che, aumentando i processi e restando invariate le risorse, è destinata a salire.
Ostile. Il ministro Orlando lo ha detto con chiarezza (relazione al Ddl): “Il governo intende intervenire sul tema della responsabilità civile dei magistrati, per riequilibrare le posizioni politico-istituzionali e superare un conflitto ancora in corso”. Dunque non garantire i cittadini ma “riequilibrare” il rapporto tra la politica e la magistratura in “un conflitto ancora in corso” (le indagini e i processi sul malaffare politico?) da “superare definitivamente”. La nuova legge è dunque un’arma contro i giudici.
Ovviamente i giudici sono preoccupati. E molti propongono il ricorso ai consueti mezzi di lotta dei lavoratori: manifestazioni, sciopero, sciopero bianco. Altri frenano: manifestare sì, scioperare no. Probabilmente hanno ragione questi ultimi. Decenni di diffamazione mediatica hanno convinto i cittadini che i giudici sono fannulloni arroganti e politicizzati. A questo si aggiunge lo scontento provocato dalla durata dei processi che è imputata ai giudici e non alle leggi costruite dalla politica. E poi ci sono i condannati e quelli a cui è stato dato torto che ce l’hanno con i giudici a prescindere. Lo sciopero sarebbe interpretato come il rifiuto di assumersi la responsabilità dei propri errori e la magistratura ne uscirebbe definitivamente delegittimata. Un Paese con una classe politica corrotta e una magistratura in cui non si ha fiducia è destinato alla dissoluzione. Qualcuno deve pur farsene carico.
Il Fatto Quotidiano, 5 Marzo 2015