Pressoché inosservata è passata il 3 marzo la giornata dell’Onu dedicata al commercio internazionale di specie animali e vegetali minacciate di estinzione (World Wildlife Day).
Del resto, da quando è stata istituita la giornata celebrativa i risultati sono stati assai scarsi. Anche se la cifra di quanto valga il commercio illegale di specie è quanto mai variabile, ma sempre rilevante: si va, oggi, dai 10 ad addirittura 100 miliardi di dollari l’anno!
Quel che appare chiaro è che il giro d’affari è molto lucroso e che l’Italia riveste un ruolo di primo piano nella classifica dei Paesi che commerciano illegalmente. Secondo la Lega Antivivisezione (Lav), “L’Unione Europea è uno dei protagonisti più importanti del traffico illegale di specie di flora e fauna protette e derivati e l’Italia detiene un elevato record negativo per la cattura, per l’uccisione e la commercializzazione di specie di fauna e flora protette, in particolare per il transito di queste specie verso l’Asia e l’Africa.” Anzi, con l’avvento del web, il commercio è letteralmente esploso e la rete è piena di annunci di vendita di animali protetti che vengono spacciati per animali non protetti dalla apposita convenzione internazionale (Cites).
Sempre secondo la Lav “negli ultimi 10 anni il numero di elefanti africani uccisi illegalmente è raddoppiato mentre la quantità di avorio sequestrato è triplicata (un kg di avorio è venduto a circa 600 euro al kg). Nel 2013 i bracconieri hanno ucciso 22.000 elefanti”. La stessa associazione ritiene che si potrebbe porre un freno istituendo dei reati specifici che colpiscano il commercio di specie protette. Ma da giurista posso dire che ben difficilmente si riesce effettivamente a porre un freno alle attività illecite creando reati ad hoc.
In realtà, occorrerebbe che cambiasse la mentalità nei paesi acquirenti. Che non fosse oggetto di vanto possedere un pappagallo brasiliano o una zanna di elefante. Oppure che in Cina non venissero più uccise o acquistate tigri solo per fare “prelibati” banchetti. In Kenya martedì sono state bruciate quindici tonnellate di avorio sequestrate ai bracconieri per dare un segnale forte contro chi uccide e commercia illegalmente.
È un segnale, d’accordo, ma la soluzione del male è ben lungi dall’essere trovata e, permettetemi, oggi nessuno di noi vorrebbe essere un esemplare di specie rigidamente protetta.