Evidentemente siamo rimasti in pochi a credere che studiare il passato, le opere degli scienziati dei secoli precedenti serva a qualcosa. Se fossimo onesti e conseguenti, dovremmo abolire la giornata della memoria. Tanto ricordiamo solo quello che ci va, siamo come Alonso che è sceso dalla sua McLaren credendo di essere un giovane pilota di kart che sogna di guidare una Ferrari. Con la differenza però che la nostra memoria non torna. La gran parte degli studenti che si laureano a livello magistrale in Economia non sanno chi è Leon Walras, hanno forse sentito orecchiare il nome di Alfred Marshall e quello di Joseph Schumpeter. Luigi Amoroso (il più grande economista-matematico italiano) non pervenuto. Friedrich Hayek per loro è il fratello di Pinochet. Frank Knight chi era costui? Ovviamente ignorano anche che «gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto…» (J.M. Keynes, The General Theory). E poi vorrebbero fare gli economisti i managers o peggio governare il paese, in molti casi ci riescono e allora sono dolori.
È difficile, direi impossibile, discutere con gli «ignoranti», cioè con quelli che non hanno tutte le informazioni necessarie. Ad esempio, la gran parte dei recenti provvedimenti governativi, nella fretta di dimostrare che «stiamo cambiando il paese», va in questa direzione. L’abolizione del Senato elettivo e la sua sostituzione con uno composto da nominati. La tentata riforma della banche Popolari. La nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati. La pseudo liberalizzazione del notariato. Sono tutti provvedimenti accomunati da un’unica caratteristica, la carenza di approfondimento, la superficialità, l’evidente scarso studio delle problematiche che ci sono dietro, non solo quelle giuridiche, ma soprattutto quelle economiche e culturali. Quindi la gran parte delle novità governative non possono nemmeno essere discusse, ma per il motivo che non ci sono le basi comuni. I risultati poi saranno ovviamente pagati dai cittadini e dai loro figli, come è avvenuto negli ultimi decenni.
Ma il provvedimento più divertente al quale stiamo assistendo in questi giorni è quello della Bce, il famoso quantitative easing, osannato come la manna che salverà l’Europa, criticato solo da pochi conservatori, in nome peraltro di egoistiche finalità oggi indifendibili. È fuori di dubbio che è una specie di droga all’economia europea. Un fiume impressionate di denaro (1140 miliardi di euro in titoli) che finirà per alterare pesantemente il mercato europeo. Ma che non lo farà nella direzione di agevolare chi ne ha veramente bisogno, di andare a riempire i molti buchi di inegualità che si sono creati negli ultimi anni e rischia di essere la solita legge di Superciuk, «rubare ai poveri per dare ai ricchi».
Il timore è che la stragrande maggioranza della massa di denaro che affluirà a partire da lunedì non andrà a pagare i debiti dei poveri, come paventano gli oppositori tedeschi e conservatori dell’operazione fortemente voluta da Draghi. In realtà anche qui opposizione e maggioranza sono d’accordo. Se potessimo discutere sulla base, ad esempio, di qualche scritto di economisti degli anni ’30 (H. Hagemann, M. Boianovsky, Business Cycle Theory Selected Texts 1860-1939, London, Pickering & Chatto, 2002-2005) che in una situazione non molto dissimile hanno dibattuto ampiamente questi argomenti, forse ci verrebbe il dubbio che nel medio e nel lungo periodo l’esito più verosimile sarà quello di un aumento degli investimenti scarsamente produttivi nel settore industriale e di una crescita delle operazioni ad altissimo rischio nel settore finanziario. Questi sono i settori che con ogni probabilità faranno la parte del leone nell’assorbire gli oltre miliardi di euro che entreranno in circolo.
La conoscenza è certamente un fardello, come recita l’Ecclesiaste, «aumenta il nostro dolore» e certamente non accontenta il bisogno di farci sembrare tutto bello e tutto facile che unisce Matteo Renzi e Mario Draghi. I problemi sono molto più complicati. Con il quantitative easing il quadro di fondo non cambierà, gli squilibri di competitività – che sono la causa dei problemi attuali – all’interno dell’area euro resteranno. I tedeschi continueranno a trarne vantaggio, anzi forse ancor più di prima. Infatti non è con il denaro che gli faremo capire che il costo dei prestiti incauti (così si chiamano i finanziamenti che la Germania ha dato per suo esclusivo interesse commerciale ai paesi del sud Europa) non può che ricadere sui tedeschi, non su chi ha ricevuto il denaro. Il rigore va applicato a se stessi e non basterà scaricare un fiume di denaro per coprire questi fatti.
Anche se non è semplice, sarebbe stato meglio pensare a quali sono le scelte in grado effettivamente di far ripartire in tutti i paesi la produzione, la crescita e gli investimenti redditizi, e metterci su quella strada con decisione, senza far uso di stupefacenti. Né l’alta finanza londinese, né le industrie decotte ci salveranno. Se il quantitative easing non è un sistema per rafforzare i più ricchi, purtroppo allora vuol dire che sarà solo il disperato tentativo di salvare un paziente ormai sul letto di morte.
Sergio Noto
Professore di Storia economica presso l’Università di Verona
Zonaeuro - 6 Marzo 2015
Quantitative easing: ultima chiamata per l’Euro o altro favore ai ricchi?
Evidentemente siamo rimasti in pochi a credere che studiare il passato, le opere degli scienziati dei secoli precedenti serva a qualcosa. Se fossimo onesti e conseguenti, dovremmo abolire la giornata della memoria. Tanto ricordiamo solo quello che ci va, siamo come Alonso che è sceso dalla sua McLaren credendo di essere un giovane pilota di kart che sogna di guidare una Ferrari. Con la differenza però che la nostra memoria non torna. La gran parte degli studenti che si laureano a livello magistrale in Economia non sanno chi è Leon Walras, hanno forse sentito orecchiare il nome di Alfred Marshall e quello di Joseph Schumpeter. Luigi Amoroso (il più grande economista-matematico italiano) non pervenuto. Friedrich Hayek per loro è il fratello di Pinochet. Frank Knight chi era costui? Ovviamente ignorano anche che «gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto…» (J.M. Keynes, The General Theory). E poi vorrebbero fare gli economisti i managers o peggio governare il paese, in molti casi ci riescono e allora sono dolori.
È difficile, direi impossibile, discutere con gli «ignoranti», cioè con quelli che non hanno tutte le informazioni necessarie. Ad esempio, la gran parte dei recenti provvedimenti governativi, nella fretta di dimostrare che «stiamo cambiando il paese», va in questa direzione. L’abolizione del Senato elettivo e la sua sostituzione con uno composto da nominati. La tentata riforma della banche Popolari. La nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati. La pseudo liberalizzazione del notariato. Sono tutti provvedimenti accomunati da un’unica caratteristica, la carenza di approfondimento, la superficialità, l’evidente scarso studio delle problematiche che ci sono dietro, non solo quelle giuridiche, ma soprattutto quelle economiche e culturali. Quindi la gran parte delle novità governative non possono nemmeno essere discusse, ma per il motivo che non ci sono le basi comuni. I risultati poi saranno ovviamente pagati dai cittadini e dai loro figli, come è avvenuto negli ultimi decenni.
Ma il provvedimento più divertente al quale stiamo assistendo in questi giorni è quello della Bce, il famoso quantitative easing, osannato come la manna che salverà l’Europa, criticato solo da pochi conservatori, in nome peraltro di egoistiche finalità oggi indifendibili. È fuori di dubbio che è una specie di droga all’economia europea. Un fiume impressionate di denaro (1140 miliardi di euro in titoli) che finirà per alterare pesantemente il mercato europeo. Ma che non lo farà nella direzione di agevolare chi ne ha veramente bisogno, di andare a riempire i molti buchi di inegualità che si sono creati negli ultimi anni e rischia di essere la solita legge di Superciuk, «rubare ai poveri per dare ai ricchi».
Il timore è che la stragrande maggioranza della massa di denaro che affluirà a partire da lunedì non andrà a pagare i debiti dei poveri, come paventano gli oppositori tedeschi e conservatori dell’operazione fortemente voluta da Draghi. In realtà anche qui opposizione e maggioranza sono d’accordo. Se potessimo discutere sulla base, ad esempio, di qualche scritto di economisti degli anni ’30 (H. Hagemann, M. Boianovsky, Business Cycle Theory Selected Texts 1860-1939, London, Pickering & Chatto, 2002-2005) che in una situazione non molto dissimile hanno dibattuto ampiamente questi argomenti, forse ci verrebbe il dubbio che nel medio e nel lungo periodo l’esito più verosimile sarà quello di un aumento degli investimenti scarsamente produttivi nel settore industriale e di una crescita delle operazioni ad altissimo rischio nel settore finanziario. Questi sono i settori che con ogni probabilità faranno la parte del leone nell’assorbire gli oltre miliardi di euro che entreranno in circolo.
La conoscenza è certamente un fardello, come recita l’Ecclesiaste, «aumenta il nostro dolore» e certamente non accontenta il bisogno di farci sembrare tutto bello e tutto facile che unisce Matteo Renzi e Mario Draghi. I problemi sono molto più complicati. Con il quantitative easing il quadro di fondo non cambierà, gli squilibri di competitività – che sono la causa dei problemi attuali – all’interno dell’area euro resteranno. I tedeschi continueranno a trarne vantaggio, anzi forse ancor più di prima. Infatti non è con il denaro che gli faremo capire che il costo dei prestiti incauti (così si chiamano i finanziamenti che la Germania ha dato per suo esclusivo interesse commerciale ai paesi del sud Europa) non può che ricadere sui tedeschi, non su chi ha ricevuto il denaro. Il rigore va applicato a se stessi e non basterà scaricare un fiume di denaro per coprire questi fatti.
Anche se non è semplice, sarebbe stato meglio pensare a quali sono le scelte in grado effettivamente di far ripartire in tutti i paesi la produzione, la crescita e gli investimenti redditizi, e metterci su quella strada con decisione, senza far uso di stupefacenti. Né l’alta finanza londinese, né le industrie decotte ci salveranno. Se il quantitative easing non è un sistema per rafforzare i più ricchi, purtroppo allora vuol dire che sarà solo il disperato tentativo di salvare un paziente ormai sul letto di morte.
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Roma, 20 dic. - (Adnkronos) - A dicembre l'Istat rileva "segnali contrastanti" dagli indicatori di opinione degli operatori economici: infatti per il terzo mese di fila l’indice del clima di fiducia dei consumatori flette passando da 96,6 a 96,3; invece, l’indicatore composito del clima di fiducia delle imprese è stimato in aumento (da 93,2 a 95,3), tornando ad aumentare dopo due mesi consecutivi di calo.. Tra i consumatori, continua l'istituto, si evidenzia un peggioramento soprattutto delle attese sulla situazione economica del Paese e di quelle sulla disoccupazione, che si riflette in un calo del clima economico (da 97,8 a 96,1) e di quello futuro (da 93,8 a 93,3). Invece, Il clima personale registra un lieve aumento (da 96,2 a 96,4) e il clima corrente rimane sostanzialmente stabile (da 98,7 a 98,6).
Quanto alle imprese, l’indice di fiducia diminuisce nell’industria (nella manifattura cala da 86,5 a 85,8 e nelle costruzioni flette da 101,5 a 100,9) mentre aumenta nei servizi, seppur con intensità diverse tra i comparti: in particolare, l’indice sale decisamente nei servizi di mercato (da 93,9 a 99,6) mentre nel commercio al dettaglio registra un incremento marginale (l’indice passa da 106,8 a 106,9). Circa le componenti degli indici di fiducia del settore industriale, nella manifattura migliorano solo le attese di produzione e nelle costruzioni peggiorano entrambe le variabili.Nel comparto dei servizi di mercato, l'Istat osserva un’evoluzione positiva di tutte le componenti dell’indicatore; invece, nel commercio al dettaglio i giudizi sulle vendite migliorano ma le scorte di magazzino sono giudicate in accumulo e le attese sulle vendite diminuiscono.
Palermo, 20 dic. (Adnkronos) - "Se mollerò? Assolutamente no, in ogni caso". Così il vicepremier Matteo Salvini prima di entrare al bunker Pagiarelli di Palermo dove oggi sarà emessa la sentenza del processo che lo vede imputato per sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio.
Palermo, 20 dic. (Adnkronos) - "Avevo promesso di fermare l'immigrazione di massa e lo abbiamo fatto, abbiamo ridotto i morti in mare, abbiamo protetto gli italiani, abbiamo ridotto i reati, salvato vite, non mi aspetto una medaglia, ma qualunque sia la sentenza sono fiero di aver mantenuto le promesse fatte agli italiani e quindi entro in questa aula di tribunale fiducioso e orgoglioso". Così il leader della Lega e vicepremier, Matteo Salvini, prima di entrare nell'aula bunker del Pagliarelli, prima della sentenza del processo Open Arms che lo vede imputato per sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio.
Milano, 20 dic. - (Adnkronos) - “Il private equity svolge un ruolo cruciale nel panorama economico nazionale. Secondo le stime di EY, il numero di operazioni in Italia è cresciuto di circa il 20% rispetto al 2023. Tuttavia, le transazioni hanno avuto una dimensione media inferiore, circa 50 milioni di euro rispetto ai circa 80 dello scorso anno, il che ha portato a un volume totale investito inferiore del 25% rispetto all'anno precedente. Le attività di investimento si sono concentrate principalmente nei settori Industrial & chemicals (25%), Consumer (17%) e Technology (16%), che insieme rappresentano il 58% del totale”. Lo afferma Umberto Nobile, private equity leader di EY Italia, commentando i principali trend e sviluppi nel settore del private equity nei primi undici mesi del 2024 in occasione della cerimonia di premiazione della XXI edizione del Premio Claudio Dematté Private Equity of the Year. EY ha consegnato i premi per la categoria Buy Out a Fondo Italiano d'Investimento, per l’operazione Gruppo Florence, un progetto di build-up specializzato nella produzione di abbigliamento per i grandi brand del lusso e a Quadrivio Group per l’operazione Autry International, società che produce e distribuisce sneakers nel segmento del lusso accessibile.
"Come EY siamo fieri di contribuire a questa importante iniziativa che da anni valorizza e promuove il ruolo del Private Equity a supporto della crescita e della competitività delle imprese italiane. Questa sera vogliamo dunque confermare il nostro costante impegno nel supportare le aziende in questo percorso e celebrare i loro successi nell'ambito del private equity - spiega il private equity leader di EY Italia - Grazie al Premio Claudio Dematté, che da anni valorizza le migliori operazioni di private equity e Venture Capital, sono stati premiati i progetti che si sono distinti per la loro crescita, internazionalizzazione e l'implementazione di principi ESG, contribuendo significativamente al successo delle aziende in cui hanno investito".
Guardando al 2025, Nobile aggiunge: “I dati appena citati, e non solo, confermano che il private equity può rappresentare per il business un motore di crescita e innovazione, e grazie al suo supporto, si possono innestare processi virtuosi per rendere le aziende più resilienti, innovative, competitive e orientate ad una crescita sostenibile. Per il 2025 - conclude Nobile - ci aspettiamo una ripresa dell’investimento da parte dei fondi di private equity, frenati nel corso degli ultimi 18 mesi da incertezza geoeconomica e dagli alti costi del denaro, con la tipologia dei fondi cosiddetti di Special Situation che torneranno ad avere un’importante operatività in Italia”.
Palermo, 20 dic. (Adnkronos) - "Sono assolutamente orgoglioso di quello che ho fatto, ho mantenuto le promesse fatte, ho contrastato le immigrazioni di massa e qualunque sia la sentenza, per me oggi è una bella giornata perché sono fiero di aver difeso il mio Paese. Rifarei tutto quello che ho fatto e entro in questa aula orgoglioso del mio lavoro". Così il leader dell Lega e vicepremier, Matteo Salvini, prima di entrare all'aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo, dove oggi sarà emessa la sentenza del processo Open Arms che lo vede imputato con l'accusa di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio per aver impedito lo sbarco di 147 migranti soccorso dalla ong spagnola nell'agosto 2019.
Milano, 20 dic. - (Adnkronos) - “Questa cerimonia di premiazione non solo è l’occasione per celebrare le bellissime operazioni che si sono svolte nel corso del 2024, ma è anche un momento di bilanci, legati soprattutto all'importanza che i fondi hanno sull'economia italiana. Se guardiamo le nostre statistiche, infatti, nel 2024 oltre il 40% delle operazioni M&a sono state guidate dai fondi e questo fa capire l'importanza dei fondi di private equity all'interno del comparto economico italiano”. Così Marco Ginnasi, strategy and transactions Private equity leader di EY Italia, parlando del significato del Premio Claudio Dematté Private Equity of the Year. L’edizione 2024 del premio è stata organizzata dall'Aifi - Associazione italiana del private equity, con il supporto di EY.
“I premi dimostrano l’evoluzione degli operatori nel corso degli anni: oggi sono dei partner che accelerano la trasformazione delle aziende. I premiati che ci saranno questa sera sono diversi - illustra - La categoria venture capital è molto importante per il comparto italiano anche se è ancora in fase di consolidamento. Però, ci sono nuovi operatori che stanno entrando sul mercato e le operazioni che sono state premiate sono l'esempio di come l'ingegno italiano si possa trasformare in impresa”.
EY ha consegnato i premi per la categoria Buy Out a Fondo Italiano d'Investimento, per l’operazione Gruppo Florence, un progetto di build-up specializzato nella produzione di abbigliamento per i grandi brand del lusso e a Quadrivio Group per l’operazione Autry International, società che produce e distribuisce sneakers nel segmento del lusso accessibile. “Gli altri premi sono legati alle expansion, quindi al growth capital, il capitale messo a disposizione insieme alle competenze dei fondi per fare una transizione delle aziende da aziende familiari ad aziende managerianalizzate. Inoltre, c’è la grande categoria dei buyout: gli operatori sono diversi, con caratteristiche diverse, in quanto alcuni di essi utilizzano il buyout come strumento per creare piattaforma - spiega - E quelle premiate in questo campo sono appunto bellissime operazioni di piattaforma. Ci sono poi i grandi buy out, ovvero i fondi che assistono le società per diventare leader di mercato e ad esportare tutto quello che è l'Italia”.
“Infine, da non dimenticare, la parte del restructuring, dove ci sono fondi specializzati che intervengono in aziende con sottostanti molto solidi, ma con crisi finanziarie, aiutando le aziende a essere rilanciate sul mercato. Un’ultima menzione al premio Esg, che è molto importante. Oggi l’Esg è trasversale nelle strategie aziendali e questo premio valorizza la misurabilità degli impatti”, conclude.
Milano, 20 dic. - (Adnkronos) - “La Value Creation è l'insieme di operazioni che vengono applicate nel momento in cui un private equity prende una portfolio company per aumentare il valore della stessa durante il periodo in cui la detiene. È molto importante perché è in continua evoluzione, soprattutto in quest'ultimo periodo. Se guardiamo agli ultimi due anni, il private equity ha dovuto affrontare molte sfide: la disruption della supply chain, una situazione macroeconomica piuttosto complessa, un costo del debito variabile e in aumento, perlomeno a fino a qualche mese fa, e ha dovuto affrontare dei multipli piuttosto volatili”.
Lo afferma Michele D’Angelo, private equity value creation leader di EY Italia, illustrando il significato di ‘value creation’ e raccontando l’impegno di EY in questo campo, in occasione della cerimonia di premiazione della XXI edizione del Premio Claudio Dematté Private Equity of the Year, tenutasi al Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo Da Vinci di Milano. L’edizione 2024 del riconoscimento è stata organizzata dall'Aifi - Associazione italiana del private equity, con il supporto di EY.
“In questo contesto, il modo stesso di fare Value Creation ha subito gli influssi di questi effetti e di queste trasformazioni. Se fino a due anni fa la creazione di valore veniva fatta principalmente con la leva finanziaria - spiega - oggi la trasformazione operativa diventa sempre più importante. Noi in EY abbiamo visto questo trend di trasformazione”.
“Stiamo accompagnando il portfolio company in modo sempre più innovativo rispetto al passato. Affianchiamo le classiche metodologie delle operations improvement: manufacturing improvement, supply chain, acquisti e pricing, con il mondo della tecnologia e il mondo dell’Artificial Intelligence, che sono sempre più integrati. Il nostro stesso approccio agli Esg è molto cambiato nel tempo, ora è diventato una vera e propria leva di creazione valore applicata quasi a tutti i nostri processi formativi”, conclude.