Con un uno-due degno di Muhammad Ali, il 3 marzo una maggioranza trasversale ha chiaramente rappresentato in Senato la rivolta anti trivelle che oramai da mesi monta nel Paese. Ed è bene che sia trasversale, perché l’inquinamento non è né di destra né di sinistra. E gli inquinati sono cittadini – dalla Sicilia alle regioni dell’Adriatico – cui per una volta i senatori hanno dato voce. È stato così che i tre-quattro ‘comitatini’ anti trivelle citati da Renzi hanno messo nel loro carniere un paio di prede succulente.

La prima, un ordine del giorno che impegna il governo – che non ha avuto nulla da obiettare – a non autorizzare trivellazioni che non siano conformi alla Direttiva 2013/30/Ue. Questa andrebbe recepita entro pochi mesi ma pare piuttosto in alto mare, visto che cozza con lo spirito e la lettera del famigerato ‘sbloccatrivelle‘, ovvero l’art. 38 della legge 164/2014 (lo “Sblocca Italia”). Di fatto, nessuno dei procedimenti in corso di autorizzazione rispecchia le disposizioni della Direttiva. Non fosse altro perché è ben lungi dal valutare gli impatti dei possibili rischi da “incidente rilevante”, che nel nostro Paese non si valutano affatto, ai sensi del D.Lgsl.l. 238/2005. Se pensate che in Italia vengano valutati scenari tipo Deepwater Horizon siete fuori strada: al massimo, ad essere valutato, sarebbe lo sversamento in mare di pochi litri di idrocarburi.

L’altra mazzata è stata ancora più dura. Contro il parere del governo, una maggioranza assolutamente trasversale ha introdotto, nel disegno di legge sui cosiddetti ‘ecoreati’, un emendamento che mette fuori legge le ricerche sismiche effettuate in mare con airguns o altri strumenti “esplosivi”. Gli airguns sono veri e propri “ordigni” ad aria compressa che producono esplosioni a catena, le cui onde d’urto si riflettono sul fondo marino e vengono registrate da una serie di microfoni, permettendo di generare un “profilo” della struttura del fondo marino. Se un pescatore dovesse usare uno strumento del genere, finirebbe dritto in galera. Che i petrolieri lo facciano di routine è un’offesa al buon senso.

Soprattutto se, come nel caso della compagnia Schlumberger in Sicilia, lo vogliono fare in aree ad elevata diversità biologica, di importanza “critica” per i cetacei e con aree di riproduzione per specie importantissime per la pesca come il nasello (o merluzzo del Mediterraneo), la triglia di fango, il gambero rosa, l’acciuga, il gambero rosso e il tonno rosso. Adesso, la norma sugli ecoreati va alla Camera e si spera bene che non venga più toccata, visto che la sua “sopravvivenza” in caso di ulteriore modifica e ritorno al Senato non pare affatto garantita.

D’altra parte, i “comitatini” si stanno organizzando anche sull’altra sponda dell’Adriatico: sotto la crescente pressione dell’opinione pubblica, il Primo ministro della Croazia, Zoran Milanovic, ha accennato alla possibilità di un referendum sull’esteso piano di trivellazioni offshore nell’Adriatico orientale. Un piano che preoccupa anche l’Italia, che ha ottenuto di partecipare al processo croato di ‘valutazione ambientale strategica’ (Vas): il nostro Paese dovrà dire la sua entro il 4 maggio. A questo punto ci aspettiamo che la Croazia, per reciprocità, chieda di partecipare alla Vas sulle trivelle d’Italia. Che non è mai stata fatta e sarebbe invece il caso di fare, garantendo adeguata partecipazione al pubblico. Pardon, ai “comitatini”.

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