È diventato Expo-scettico: “Ma finiranno in tempo i lavori?”. Eppure è stato per molti anni uno dei padroni della manifestazione. Roberto Formigoni era presidente della Regione Lombardia quando nacque l’idea dell’Expo a Milano, nel 2006. Litigò a lungo con l’allora sindaco Letizia Moratti per il controllo dell’evento. Mise i suoi uomini negli organismi di gestione. Fu determinante nella scelta di acquistare i terreni privati su cui fare l’esposizione: vero e proprio peccato originale di Expo, che ora pesa sulle casse pubbliche (di Comune e Regione) con debiti per almeno 160 milioni di euro. Ma oggi Formigoni racconta tutta un’altra storia. Ecco com’è andata, secondo l’ex presidente.

“L’idea di fare l’Expo a Milano io me la sono trovata già pronta. A proporla è Letizia Moratti, che convince Romano Prodi, allora premier, il quale voleva dare un segnale di apertura al centrodestra: candidiamo Milano e non Napoli o Torino, città amministrate dal centrosinistra. Io e la Regione trovammo tutto già deciso: il tema (l’alimentazione), il progetto di massima, il luogo (le aree private dei Cabassi e della Fondazione Fiera). Mi mandarono il dossier di candidatura da firmare in 48 ore, 72 al massimo: prendere o lasciare. Io avevo molte cose da obiettare, mi irritai perché non ci avevano coinvolto prima, eppure molte cose da fare erano a carico della Regione. Mandai una lettera alla Moratti e a Prodi, ma sapendo che non potevo assumermi la responsabilità di non firmare, mandando a monte la candidatura di Milano”.

Soprattutto il luogo non convince Formigoni. “C’erano altre aree più adatte. La migliore era a Lacchiarella, ma era di proprietà della famiglia Berlusconi, dunque si figuri, non era proponibile. C’erano l’area dell’Ortomercato e quella di Porto di mare: erano comunali, non avremmo dovuto spendere un euro per comprarle. Ma la Moratti ci bloccò: disse che ormai nel dossier di candidatura era indicata l’area di Rho-Pero e non si poteva cambiare. Poi il 31 marzo 2008 Milano vinse su Smirne”. Cominciarono tre lunghi anni, dal 2008 al 2011, tutti sprecati a litigare per chi doveva comandare, senza fare nulla, né avviare una gara, né assegnare un appalto. E gli scontri più duri furono quelli tra Formigoni e Moratti. “Il problema era l’area: Moratti voleva usarla in comodato d’uso gratuito, farci su l’Expo e poi restituirla ai privati. Era improponibile: non possiamo investire 1 miliardo di euro di soldi pubblici su un’area privata e poi ridarla, valorizzata, ai privati. Io m’impuntai, dissi: guarda Letizia, la Procura ci salta addosso e, in questo caso, a ragione! È inaccettabile dal punto di vista della legge, non firmerò mai una cosa così!”.

Formigoni alla fine riesce a imporre la sua idea: i terreni su cui dovrà svolgersi Expo devono essere comprati. Per i due terzi, appartengono alla Fondazione Fiera, controllata dalla Regione Lombardia, e hanno al vertice uomini dell’area di Cl fedelissimi di Formigoni. L’acquisto ha subito un effetto: quello di risanare i conti di Fiera spa, controllata dalla Fondazione e con i conti in rosso. Nel 2006 Fiera Milano spa chiudeva con un rosso di 22 milioni di euro. Tre anni dopo, la crisi è risolta: perché i terreni Expo, comprati nel 2002 a 14 milioni, nel 2009 sono messi a bilancio per 50,8 milioni.

Formigoni la racconta in modo parzialmente diverso: “La mia prima proposta era l’esproprio. Quei terreni potevano essere espropriati per farci un evento di interesse pubblico. La legge ci permetteva di farlo. Erano terreni agricoli. Ma Moratti si oppose. Allora non restò che la soluzione dell’acquisto. Così proposi di costituire una società apposita, Arexpo”. Eccolo, il peccato originale di Expo: far sborsare 160 milioni a Comune e Regione per terreni agricoli che ne valevano al massimo 25. “La valutazione del prezzo non fu fatta da me, ma dall’Agenzia del territorio. Io avrei preferito l’esproprio, ma non lo vollero”.

Eppure la stessa Fondazione Fiera, ormai presieduta dall’ex banchiere Giampiero Cantoni e uscita dal controllo stretto di Formigoni, nel 2010 stava per accettare l’idea del comodato d’uso delle sue aree. A questo punto, però, il presidente della Regione manda un’ispezione alla Fondazione: Cantoni capisce l’antifona e accetta la formula della vendita. “Ma la Regione, da me presieduta, ha il potere e il dovere di sorveglianza sulla Fiera, anche attraverso ispezioni. Alla fine, la Fondazione ha accettato di vendere. Il dibattito sui terreni è durato fin troppo, ma guai a me se non avessi fatto così! Se avessi permesso il comodato d’uso, avrei permesso una soluzione sbagliata e illecita. Non sono stato io, dunque, a far perdere tempo a Expo. Dopo di che, è anche vero che sono stati scelti (e non da me) manager non adeguati a guidare l’evento. La competenza delle nomine non era della Regione. Paolo Glisenti l’ha imposto Letizia Moratti, Lucio Stanca l’ha scelto Silvio Berlusconi, Giuseppe Sala di nuovo Moratti. Del resto, Letizia è la madre dell’Expo, questo almeno le va riconosciuto”.

Quando, dopo tre anni di scontri, nell’agosto 2011 finalmente sono state avviate le gare per far partire i lavori, cominciano tre anni di passione: inchieste giudiziarie, infiltrazioni mafiose, arresti… A partire da quello di Antonio Rognoni, grande capo di Infrastrutture Lombarde, uomo di stretta osservanza formigoniana. Intanto i lavori accumulano ritardi fortissimi. E se Expo non riuscisse ad aprire in tempo? Davanti a questa domanda, Formigoni si ferma, annuisce, ma non risponde. Poi riprende, sornione: “Ho letto che l’80 per cento delle gare è stato irregolare. Evidentemente qualche problema c’è. Comunque, le opere di pertinenza della Regione, come la Brebemi, sono pronte. Indietro sono i lavori nel sito e le metropolitane, di pertinenza del Comune di Milano. A questo punto, però, chi fa il tifo contro è un traditore della patria. Abbiamo bisogno di rilanciare nel mondo Milano, la Lombardia, l’Italia. Certo, ci sono stati molti problemi. Prima o poi dovremo ricostruire le responsabilità…”. Chissà: magari dopo la fine di Expo, quando si tireranno le somme e Milano dovrà scegliere il suo sindaco?

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