Il recente intervento di Roberto Saviano ad Annozero di Michele Santoro merita un ascolto attento e qualche necessaria sottolineatura. Saviano ha parlato anche di Sud, spiegando, assai chiaramente, una delle ragioni per cui la cosiddetta Questione meridionale non trovi, finalmente, un suo epilogo positivo.

L’autore campano ha evidenziato il problema essenziale della selezione delle classi dirigenti meridionali. Si tratta di una generalizzazione, ovviamente, ma permette di spiegare come mai certi divari si siano protratti, senza soluzione di continuità, tra Nord e Sud, per tutto il secolo e mezzo di storia unitaria. Parlando della classe dirigente meridionale, Saviano dice una cosa chiara e altrettanto grave. Preferisco citare le parole dello scrittore:

Spesso si viene scelti per la lealtà che si giura, non per capacità, per responsabilità, per creatività e per innovazione. Io ti scelgo perché so che tu mi sarai leale. E perché so che tu, senza di me, sei fuori dai giochi. Se si continua a selezionare così la classe dirigente al Sud, non ci sarà nessun nuovo percorso”.

Uno scenario tanto inquietante quanto verosimile, perfettamente compatibile con una gestione prettamente partitocratica del potere. Per tutti coloro che sono emarginati da questa modalità di gestione del potere l’unica alternativa è l’emigrazione. Occupi un ruolo se sei leale a un patto. Il termine patto, o giuramento, viene dal greco antico òrkos. La liberazione dal patto è indicata in lingua italiana, dalla parola esorcismo. Occorre esorcizzare, dunque, lo status quo, in cui si ignorano o si derubricano sistematicamente le questioni che attanagliano il Sud, danneggiando, di riflesso, tutto il Paese.

I dati statistici, spesso discussi su questo blog, non troveranno mai un’inversione di tendenza se, come dice ancora Saviano: “Il problema vero è che il Sud non interessa più. […] Il problema Sud è già risolto con l’emigrazione. […] Il Sud è ignorato dalla politica italiana”. “L’unica strada è andare via”, mancando il soddisfacimento delle minime sogli dei “diritti minimi”, e quindi le regioni del Sud non pesano più.

L’emigrazione continua, oggi, ad essere la valvola di sfogo demografico che consente di disinnescare le inevitabili tensioni sociali che scaturirebbero dalla permanenza di chi è costretto a cercare lavoro fuori. Al Nord, come all’estero. Ho trovato una conferma a quanto diceva Saviano nelle parole più datate del lucano Ettore Ciccotti, che scrisse un mirabile articolo sull’emigrazione dal Sud, nel 1912. L’emigrazione, dopo l’Unità d’Italia, era assurta a “fenomeno centrale della vita meridionale”, cito le sue parole. “La mancanza della pressione di una popolazione numerosa, poi, […] toglie l’occasione, l’impulso e la forza a quella reazione contro l’ambiente arretrato che più di tutto potrebbero costringerlo a rinnovarsi. L’emigrazione funziona nel Mezzogiorno, in mancanza di salda organizzazione, come uno sciopero immenso, colossale. L’America, anzi, è l’Aventino di quei lavoratori”. Se ai tempi di Ciccotti l’emigrazione riguardava prevalentemente contadini, riguarda oggi laureati e plurititolati, coinvolgendo nel fallimento il tessuto produttivo e tutto il sistema formativo.

Sento, tuttavia, di poter essere ottimista. La conoscenza dei mali che affliggono un territorio è il passo propedeutico alla cura degli stessi. In parallelo, un nuovo fermento culturale e civile va sorgendo nel Sud, specialmente tra le nuove generazioni, in cui cresce la consapevolezza, l’attaccamento al territorio nelle sue declinazioni ambientali e culturali. Sarebbe oggi più difficile occultare i fusti di veleni di varia provenienza sotto la superficie dei fondi agricoli.

Il Sud cambierà. Sarà realizzata la profezia di Paolo Borsellino: “Un giorno questa terra sarà bellissima!”.

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