“L’8 marzo non è un anniversario, ma un giorno di lotta rivoluzionario“. Al di là delle mimose e degli omaggi, per la verità sempre più rituali e distratti, della nostra in genere pessima stampa e televisione, l’8 marzo rappresenta, come forse non tutte e tutti sanno, una data scelta nella ricorrenza di un massacro di 129 operaie avvenuto nel 1908 negli Stati Uniti, all’industria Cotton, nella quale morirono bruciate mentre era in corso un’occupazione e l’imprenditore aveva chiuso tutte le porte a chiave condannandole a una morte atroce.
Occorre quindi attribuire a tale data il carattere di giorno di lotta per i diritti delle donne, che formano la maggioranza dell’umanità e senza la cui completa liberazione non potremo avere una società degna e soddisfacente, neanche per noi maschi che ci crogioliamo, a volte, nei nostri residui privilegi.
E’ proprio con questo spirito che un variopinto corteo di varie centinaia di persone, in grande maggioranza donne, si è snodato ieri mattina per le vie dei quartieri Ostiense e Testaccio, a Roma, toccando alcuni luoghi importanti dal punto di vista della necessaria riappropriazione di questa città ‘ribelle e mai domata’, ma purtroppo oggi oggetto degli smodati appetiti di mafie capitali, palazzinari e altri parassiti.
I luoghi in questione sono l’occupazione di un locale di lap-dance rapidamente fallito dove è stato costituito un centro antiviolenza, un’occupazione multietnica a scopo abitativo in via del Porto Fluviale, dove un gruppo di donne di varie provenienze ha aperto una sala di tè multiculturale, e il Centro Ararat, dove convergono i rifugiati kurdi residenti a Roma. Altrettanti punti importanti di un tessuto di auto-organizzazione e autogestione che costituisce a ben vedere l’unica risorsa effettiva per una città altrimenti destinata a un inesorabile degrado. E’ proprio alla lotta delle combattenti kurde che erano dedicati questo 8 marzo e questa manifestazione. Si è trattato di una scelta importante e significativa, perché tutti, uomini e donne, siamo loro debitori di alcuni insegnamenti di importanza fondamentale, che proviamo a riassumere.
Primo, le donne sono in grado di fare tutto quello che fanno gli uomini, e lo fanno a volte anche meglio. Sono in grado quindi di agire in modo organizzato anche sul terreno militare, tradizionalmente riservato ai maschi dall’ordinamento patriarcale. Ma lo fanno senza cedere alla mitizzazione della violenza e nella consapevolezza che a volte uccidere può essere necessario, ma che i rapporti tra gli esseri umani devono il più possibile essere ricondotti alla giusta nonviolenza.
Secondo, proprio di fronte a un’offensiva di carattere fascista come quella dell’Isis, che ha mercificato il corpo delle donne rapite, istituendo su Internet un vero e proprio libero mercato telematico con tanto di listino di prezzi (per la gioia dei liberisti più estremi), le donne combattenti kurde hanno mostrato che non intendono delegare a nessuno la loro difesa, ma vi provvedono in proprio.
Terzo, proponendo un modello di autogoverno territoriale basato sulla parità fra le etnie e quella di genere, le combattenti e i combattenti della Rojava hanno dimostrato quale sia la vera alternativa al terrorismo fondamentalista, quella che è rivolta non solo a sconfiggerlo militarmente ma a sottrargli ogni consenso da parte delle popolazioni dominate. Insomma l’esatto contrario della fallimentare linea dell’Occidente, che non fa che aumentare il seguito dei terroristi.
Quarto ponendo al centro, come fa in questa bella intervista la comandante Meryem Kobane, l’importanza dell’educazione per superare il patriarcato e creare le donne e gli uomini nuovi. Si potrebbe andare avanti, ma ci fermiamo qui. Rendendo omaggio ancora una volta alle combattenti kurde (e ovviamente anche i loro compagni maschi), con le quali e con i quali costruire la resistenza al fondamentalismo e l’alternativa alla vita triste e insoddisfacente cui anche in Europa siamo costretti dal capitalismo liberista.
Ricordando le 129 operaie della Cotton che persero la vita 107 anni fa proprio per essersi opposte al capitalismo.