Cucina

Davide Scabin, lo chef che voleva diventare un hacker: “Una cena da me? Come una serata a teatro”

Dal Combal.Zero di Rivoli ha portato la sua cucina in tutto il mondo. "Cosa non mi piace? Non amo particolarmente determinate spezie. E’ una questione di sentore. La curcuma e il cumino, se associati, mi danno una sensazione che non mi piace. Non sopporto addosso quei due odori. Però ripeto, dosati bene, mi possono affascinare, proprio perché tendo ad avere una repulsione. Probabilmente affronterò queste due spezie dedicando loro un piatto"

di Barbara Giglioli

Tecnica, materia, attenzione per il territorio e nessuna retorica, “perché lo chef non è un’artista”. Un mix di idee e convinzioni che esplode nei piatti di Davide Scabin, lo chef del Combal.zero di Rivoli. Un ristorante moderno, di cristallo, all’interno di uno dei musei di Arte Contemporanea più importanti d’Italia. Cuoco in continua evoluzione, che ama il brodo e non va matto per la curcuma e per il cumino, anche se promette di inventarsi un piatto ad hoc con queste spezie per superare il suo “blocco”. La sua è una passione nata da un pentolone di zucca che gli pareva enorme, quando poi così grande non era.

Davide Scabin, qual è il suo primo ricordo in cucina da bambino?
Le litigate tra mia nonna e mio nonno per chi doveva fare il ripieno e chi la pasta per gli agnolotti. Poi mio nonno, essendo ferrarese, faceva sempre la pasta e mia nonna, che era piemontese, faceva sempre il ripieno.

Quindi la passione per la cucina viene da loro?
No, ho sempre avuto la fortuna di mangiare bene, ma non mi hanno trasmesso loro la passione per la cucina. Io da piccolo volevo fare altro.

Cioè?
Volevo diventare un hacker.

E’ quindi una passione nata con il tempo?
E’ stata una passione nata subito con la scuola alberghiera. Da piccolo cucinavo per aiutare mia mamma che aveva ripreso a lavorare. Facevo trovare il pranzo pronto per lei e la mia sorellina. Lo facevo per necessità e mi piaceva, essendo un lavoro manuale. Ho sempre amato la matericità, modellare. Era divertente.

Qual è, invece, il suo primo ricordo di cucina professionale?
Il 5 febbraio del 2000 alle ore 14.30 ho fatto i primi passi all’interno della cucina del mio professore dell’istituto alberghiero. La prima cosa che ho fato è stata passare un pentolone di zucca che nel ricordo mi sembrava un silos, tanto era grosso. Poi nel tempo, andando a rivedere quella pentola, era solo una normalissima pignatta. Anzi direi che era quasi piccola.

Qual è il suo piatto preferito?
Dipende. Per lo chef ci sono posizioni diverse. Sicuramente quello che non mi stufo mai di mangiare sono le preparazioni in brodo, in zuppa, come agnolotti, tortellini, anolini, tagliatelle in brodo. Potrei mangiare questi piatti tutti i giorni e non mi stuferei mai.

C’è qualcosa che invece non riesce proprio a mangiare?
No, una volta c’era la radice di songino. Adesso mi piace anche quella. Però se devo ordinare un piatto dove c’è curcuma e cumino tendo a evitarli. Non sono attratto e non li uso mai nella mia cucina. Però sono dei blocchi che prima o poi supererò.

Non le piace il gusto di curcuma e cumino o non utilizza queste spezie perché preferisce proporre una cucina dai sapori italiani?
No, non me ne frega nulla delle ideologie. Non amo particolarmente determinate spezie. E’ una questione di sentore. La curcuma e il cumino, se associati, mi danno una sensazione che non mi piace. Non sopporto addosso quei due odori. Però ripeto, dosati bene, mi possono affascinare, proprio perché tendo ad avere una repulsione. Probabilmente affronterò queste due spezie dedicando loro un piatto.

Il suo ristorante è all’interno di un importante museo di arte contemporanea, quello di Rivoli. C’è arte nei suoi piatti? Ma innanzitutto la cucina è arte?
L’arte nei piatti vuol dire che la cucina è arte. Io sono un po’ riluttante a dare questa definizione. La cucina può raggiungere delle espressioni artistiche nell’atto del cucinare. A quel punto ci può essere qualcosa che trasfonde tra la persona e la creazione. Non stiamo parlando di riproduzione di un qualcosa che deve essere sempre uguale e perfetto. Allora possiamo dire che la cucina è più design, intesa come riproduzione del modulo seriale.

Quindi in qualche modo la cucina è arte.
L’arte della cucina è comunque un’arte minore. Se dovessi paragonare l’arte minore della cucina a una maggiore, la paragonerei al teatro. Al ristorante tutte le sere va in scena un’opera diversa dalla replica del giorno precedente e da quella del giorno successivo. Sarà sempre uguale ma diversa. Mi piace vederla così, come forma artistica.

Una pièce teatrale dove protagonisti sono lo chef e la sala?
Esatto. Stiamo parlando di visione d’insieme del ristorante. E’ un’esperienza gastronomica, che non può sempre essere focalizzata sulla cucina. Perché a me non piacerebbe un ristorante fatto tutto di chef. Io voglio anche l’eleganza, che non è quella dei cuochi, ma quella della sala. L’esperienza del cibo non è dentro la cucina con lo chef. Ognuno deve vivere la sua esperienza al tavolo in compagnia o anche con la sua solitudine. Non è una cosa che deve mettere tristezza. Una cena di alta cucina da solo può essere un regalo e se in quel momento non ho qualcuno all’altezza di condividere con me quel momento, è meglio che vada da solo. Perché me ne devo privare?

Immagino che lei passerà molto del suo tempo al ristorante, ma quale sono le sue altre passioni?
Se ho del tempo per me gioco a golf. Inoltre sono istruttore subacqueo. Sott’acqua sto benissimo. Anche dedicarmi alla vela mi piace, quando ho tanto tempo. Una delle cose più belle che ho fatto è stata la traversata oceanica.

Ha una grande passione per il mare, quindi.
Sì, ho una grande passione per l’acqua. E’ il mio elemento naturale.

SPAGHETTI SCUBAOIL

Per due vasi tipo arbarella da g 500 di capienza
Ingredienti:

g 200 spaghettoni Monograno Felicetti
g 200 spaghetti al nero di seppia Felicetti
1 litro di olio extra vergine d’oliva
g 16 sale marino grezzo
4 litri di acqua

Preparazione:

Mettere in due pentole l 2 di acqua e g 8 di sale.
Portare ad ebollizione la prima pentola.
Cuocere gli spaghettoni per 8’
Scolare.
Immergere gli spaghettoni nell’olio evo che precedentemente è stato portato alla temperatura di 1/2 gradi centigradi.
Lasciare raffreddare per 5’.
Scolare gli spaghettoni e metterli nell’arbarella
Riportare l’olio a 1/2 gradi di temperatura.
Ripetere lo stesso procedimento con gli spaghetti al nero di seppia cuocendoli per 7’.
Colmare i due vasi ottenuti di spaghetti con l’olio usato per il raffreddamento. L’olio che rimane può essere utilizzato normalmente perché non conterrà acqua anche se, per precauzione, non consiglio d’usarlo per fritture.

Consigli:

A seconda dei propri gusti e fantasia si possono ricoverare gli spaghetti nel vaso aggiungendo spezie e aromi come: basilico, peperoncino,  aglio, prezzemolo, timo, origano, intercalando gli spaghetti agli aromi nello stesso modo in cui si procede per le conserve di verdura sott’olio.
I due tipi di spaghetti possono essere messi sott’olio misti in modo da creare un ottimo gioco cromatico.
Conservare la preparazione ad una temperatura fresca ma non nel frigorifero.
Questa preparazione vi da la possibilità d’avere uno spaghetto pronto e al dente per 4/5 giorni.
Scolare gli spaghetti e condirli a piacimento secondo le vostre migliori ricette di insalate.
Specialmente per la prossima estate sono un ottima soluzione per aperitivi inventati all’ultimo minuto ed ospiti inaspettati a bordo piscina o davanti al barbecue.
Si possono anche saltare velocemente in un wok a fiamma viva dando origine a ottime ricette Asiatiche ma dal tocco Italiano.

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