Le mode sono mode. Non c’è una motivo specifico per cui esplodono, e se c’è, chi contribuisce a farle esplodere si guarda bene dal condividere questo segreto col resto del mondo. Spesso ci entusiasmano, salvo poi svanire nel nulla e, viste ex post, sembrarci imbarazzanti, o quantomeno inutili.
La musica è spesso, se non sempre, vittima delle mode, e lo è in maniere piuttosto variegate. Si va da certi ritmi, che caratterizzano certi periodi e che poi scompaiono nel nulla o finiscono nel campo del vintage, per passare a certi suoni, le tastiere e le batterie elettroniche degli anni 80, le chitarre distorte e grunge dei primi 90, e via discorrendo, e via discorrendo.
In provincia, in genere, le mode arrivano con un piccolo ritardo rispetto al resto del mondo, e attecchiscono in maniera anche più violenta, come se l’essere periferici costringesse le persone a dimostrare qualcosa di più, così i dark erano più dark e i tamarri più tamarri in provincia che nelle metropoli, per dire.
L’Italia è la periferia dell’Occidente, la provincia dell’Occidente, forse non fa neanche parte dell’Occidente.
Da noi le mode spesso riguardano suoni e autori. In certi periodi tutti ricorrono a quel determinato produttore, perché è il migliore, perché ha fatto gli album migliori, e di colpo sentiamo decine di dischi che suonano tutti uguali (anche gli altri produttori, ovviamente, per cercare un po’ di lavoro, tendono a imitare il produttore del momento, finendo per esserne surrogati a miglior prezzo). In certi periodi tutti ricorrono a quel determinato autore, perché è il migliore, perché ha scritto i brani migliori, etc etc.
Qualche esempio? No, dai, non fatemi essere impietoso. Non fatemi dire come, negli anni zero, tutti o quasi ricorressero ai servigi di Corrado Rustici, colui che stava dietro al successo di Zucchero Sugar Fornaciari e Elisa, uomo italiano di stanza a Sausalito. Così, anche solo a ripensarci mi vengono i brividi, ecco che otto anni fa escono fuori i singoli nuovi di Ligabue, Negramaro e Renga, e sembrano suonati tutti dalle stesse persone, con gli stessi strumenti e gli stessi effetti, e durante la stessa sessione. Col suono di Rustici a farla da padrone sul resto, omologando e omogeneizzando tutto.
Idem per gli autori, e qui i nomi da fare sono diversi, a periodi, con inspiegabili sparite di scena di cui, poi, andrò a parlare più approfonditamente più avanti, da Federica Camba e Daniele Coro a Roberto Casalino, da Dario Faini e Diego Mancino a Ermal Meta, da Fortunato Zampaglione a Kekko Silvestre dei Modà.
Ora, questo discorso, che può suonare un po’ vago, generico, teorico, mira in realtà a qualcosa di quantomeno terreno, due brani che si sentono in questo periodo. Brani che suonano sinistramente simili, per non dire uguali. Stesso incedere, stessi suoni, stesso mood, stessi accordi. Uno l’originale, l’altro la cover, non fosse che escono entrambi come inediti, e con titoli diversi.
Sto parlando, l’avrete capito, di Guerriero di Marco Mengoni e L’amore esiste di Francesca Michielin. Sentiteli, vi dico, e potrei chiudere già qui il mio pezzo. Non ci fosse un piccolo inghippo la cosa finirebbe probabilmente in tribunale, con la classica causa di plagio, e morta lì.
Però c’è un inghippo e a farne le spese, sempre che si possa parlare di farne le spese anche in questi casi, è solo il pubblico pagante.
Guerriero è un brano che è uscito poco tempo fa, di grande successo, singolo di lancio di un album a sua volta di grande successo. Vai su Youtube e vedi che ha avuto già oltre diciotto milioni di visualizzazioni.
L’amore esiste è un brano nuovo, che ci ripresenta la Michelin forte del megasuccesso di Magnifico, brano che la vedeva ospite di Fedez.
Le due canzoni sono identiche. Non solo come trama e tessitura, ma anche come suoni. Sembrano proprio l’uno la prosecuzione dell’altro.
E perché non ci sarà una denuncia per plagio?
Perché entrambi escono per la medesima casa discografica, innanzitutto.
Perché entrambi suonano uguali come suonano uguali a decine di altri brani prodotti dal produttore del momento, quello cui ricorrono tutti, da Ferro a Jovanotti, passando per Renga e Mengoni e la stessa Michelin, Michele Canova (esule in Usa perché qui suona tutto uguale, anche se lì lavora praticamente solo con italiani).
Perché entrambi sono stati scritti dall’autore del momento, Fortunato Zampaglione, che ha scritto Guerriero per e con Mengoni, ma che ha scritto anche L’amore esiste per la Michielin, oltre che per tanti altri.
Un caso?
Non credo.
Il frutto di una moda?
Forse. Ma anche qualcosa di più. Un tentativo, riuscito, di cavalcare un’onda. Di omologare un suono. Di rendere tutto simile a se stesso.
Senti la Michielin e il suo brano ti suona familiare, te lo senti subito tuo. Poco conta che ti suoni familiare perché in effetti ti è familiare, lo hai già sentito, nei suoni, nella musica, in un’altra canzone, l’importante è che ti piaccia a prescindere, che ti rassicuri, che tu sia in grado di canticchiarlo già al primo ascolto. Magari che ti emozioni pure, proprio perché lo associ a un brano che già ti ha emozionato.
Nessuno si fa male.
Nessuno si autodenuncia.
Basta solo attendere il nuovo singolo del prossimo artista prodotto da Canova, scritto da Fortunato Zampaglione.
In cucina i gusti omologati vengono chiamati fast food, se fatti con materie prime non eccelse si parla di junk food.
Queste sono fast song o junk song?