Dopo la sfiducia nel dicembre scorso e l'attuale guerra interna ai vertici della terza serie con la fronda Ghirelli-Gravina, il vicepresidente della Figc alle prese con una nuova grana. Per la quale era stato prosciolto dalla giustizia ordinaria
Mario Macalli di nuovo nella bufera. Dopo la sfiducia di dicembre e la lunga querelle che ne è derivata (tutt’ora in attesa di risoluzione), il presidente della Lega Pro (nonché vicepresidente della Figc, braccio destro di Tavecchio e vicino a Claudio Lotito) deve fronteggiare una nuova grana. Stavolta giudiziaria: la Procura Federale lo ha deferito per il cosiddetto “caso Pergocrema”, legato ai marchi della squadra di calcio di cui Macalli è stato dirigente per 24 anni (dal ’62 all’86), prima di farsi strada all’interno del palazzo.
La vicenda risale al 2011, un anno prima della bancarotta del Pergocrema: all’epoca Macalli, pur essendo presidente della Lega Pro, aveva provveduto a registrare a proprio nome i marchi “Pergocrema”, “Pergocrema 1932”, “Pergolettese” e “Pergolettese 1932”. Nel luglio del 2012 il club lombardo sarebbe poi fallito. Tempistica sospetta, e forse non del tutto casuale: gli ex dirigenti del club denunciarono Macalli di avere sospeso un bonifico di circa 250mila euro per i contributi televisivi senza motivazione. Soldi che avrebbero dato una boccata d’ossigeno alle casse della società, e che invece non arrivarono a destinazione. Dopo il fallimento, alcuni tifosi avrebbero voluto dar vita ad una nuova società sul modello dell’azionariato popolare, ma si videro sbarrata la strada dalla pregressa registrazione dei marchi. E uno di questi (“Pergolettese 1932”) fu ceduto da Macalli al proprietario del Pizzighettone, che cambiò denominazione alla sua squadra e la trasferì a Crema.
Una serie di manovre che all’epoca avevano suscitato le proteste di tifosi e dirigenti. E di cui si era interessata anche la magistratura ordinaria. Macalli era stato rinviato a giudizio nell’agosto 2014, per poi essere prosciolto ad ottobre dall’accusa di abuso d’ufficio. La giustizia sportiva, però, sembra pensarla diversamente. Il dispositivo di deferimento è molto pesante: la Procura sostiene che Macalli ha “di fatto stabilito chi dovesse svolgere l’attività calcistica professionistica nella città di Crema, con ciò venendo meno al suo ruolo di imparzialità”. Si parla esplicitamente di “conflitto di interessi”. E si accusa il presidente di “aver aggravato la situazione di crisi finanziaria della società”, trattenendo i contributi “senza alcuna giustificazione giuridica”.
Adesso la palla passa al Tribunale federale, davanti a cui Macalli dovrà nuovamente difendersi per il caso Pergocrema. E l’imputazione contribuisce al clima di “accerchiamento” nei confronti dell’attuale presidente della Lega Pro. Già al centro di un dossier dell’ex direttore generale Francesco Ghirelli (nelle cui pagine, tra le altre cose, si punta il dito proprio sulla gestione dei contributi), Macalli sta cercando di resistere agli attacchi di una nutrita fronda interna (capeggiata da Gabriele Gravina e dallo stesso Ghirelli) che vorrebbe le sue dimissioni. L’obiettivo suo (e di chi lo sostiene: leggi Lotito) è arrivare indenne alla scadenza del mandato. Ma, dopo la mancata approvazione del bilancio a dicembre, il suo “regno” vacilla: presto il Coni dovrà pronunciarsi sulla richiesta dei “dissidenti” di convocare un’assemblea per la revoca dell’attuale governance. E se dal Tribunale federale dovesse arrivare una sentenza di condanna, dopo 18 anni potrebbe davvero concludersi l’era di Mario Macalli in Lega Pro.