Dopo averne viste tante in Rai, di ristrutturazioni, riforme e riformette, ci toccherà vederne un’altra. E se quella in vigore porta il nome di Maurizio Gasparri, la nuova sarà certamente ricordata come la “riforma Renzi“. Già annunciata dagli entusiasti spalleggiatori come la risolutiva.

Perchè dovrebbe essere il toccasana non si capisce. I suoi propagandisti sostengono che lo sarebbe perché tutti i poteri passerebbero ad un amministratore delegato (guardacaso nominato dal governo);  secondo le anticipazioni di “Repubblica” non dovrebbe (forse) essere più la commissione parlamentare di Vigilanza a nominare i consiglieri d’amministrazione;  ci sarebbe (forse) un consiglio di sorveglianza a “cui sarebbe demandata la nomina degli esponenti del cda”; non si esclude, addirittura, che la scelta possa essere (forse) lasciata “al Parlamento riunito in seduta comune come avviene per l’elezione dei giudici del Csm e della Consulta”.

Appunto. Tutti gli italiani hanno sotto gli occhi lo spettacolo del Parlamento riunito in seduta comune. E il tempo che ci ha messo per eleggere i membri di sua competenza nel Consiglio superiore della magistratura. Perchè per quanto riguarda l’elezione del giudice della corte costituzionale meglio lasciare perdere. In questo caso, il Parlamento, sempre in seduta comune, non è riuscito proprio a concludere nulla. Almeno sinora.

Andando avanti con la favoletta della riforma-Renzi, una chicca finale viene riservata a tutti i cittadini. Proprio a tutti, così imparano. Poco propensi a pagare il canone, verrebbero stangati dallo statista toscano abbinandolo alla bolletta elettrica, cosicché ” il pagamento sarà richiesto per ciascuna utenza, a prescindere dal denunciato possesso o meno di una tv”.

Avete capito bene, pagherete anche se la tv non ce l’avete.

Una follia. E per arrivarci non bisogna essere statisti (e nemmeno toscani). Una follia necessitata dal bisogno drammatico di trovare risorse per finanziare un’azienda persa da tempo immemore alla buona causa del servizio pubblico. Dopo aver fatto l’Italia e alfabetizzato gli italiani (caro maestro Manzi), quella che non senza ragione veniva spesso definita come la principale industria culturale del Paese, si è messa in gran parte al servizio dei partiti e di ogni tipo di conflitto di interesse. E’ stata, fatte salve le dovute eccezioni, democristiana, socialista, comunista, berlusconiana ogni volta che serviva ai suoi dirigenti, giornalisti e dipendenti  per fare carriera e spuntare qualche casella nel sottobosco governativo. Così, anno dopo anno, con programmi sempre più scarsi,  la Rai è diventata un peso per gli italiani.

Inutile al servizio pubblico, quello vero, l’azienda di viale Mazzini si può salvare in un solo modo: privatizzandola. Perché così com’è, incrostata nel suo immobilismo culturale, nella sua vocazione lottizzatoria, nella sua mancanza di autonomia dalla politica, è irrecuperabile a qualsiasi buona causa legata ad un efficiente servizio pubblico. Il problema non è la commissione parlamentare di vigilanza, il modello organizzativo fondato sul direttore generale o sull’amministratre unico o delegato. Tutti lo sanno. Il problema è proprio la Rai in quanto tale,  quello che è diventata.

Liberiamocene, perciò, mettiamola sul mercato sperando che esponendola ad una sana concorrenza riesca alla fine a riscattarsi sprigionando le buone energie che al suo interno pur sempre si nascondono. E se così non sarà, alla peggio, avremo comunque fatto una cosa buona per i cittadini-utenti. Li avremo emancipati  dalla disgrazia del canone. Il che, non avendo più euro da spendere inutilmente, non sarebbe poco.
@primodinicola

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