È finita nell’unico modo in cui poteva finire, con Flavio Tosi fuori dalla Lega di Matteo Salvini. Il segretario federale ha affidato l’annuncio, dopo una giornata di attesa e silenzio, al suo profilo facebook: “Dispiace che da settimane Flavio Tosi abbia scelto di mettere in difficoltà la Lega e il governatore di una delle regioni più efficienti d’Europa. Ho provato mediazioni di ogni tipo, ma purtroppo, ricevendo solo dei no, sono costretto a prendere atto delle decisioni di Tosi e quindi della sua decadenza da militante e da segretario della Liga Veneta – Lega Nord”. Ma non è tutto: “Se insisterà nel volersi candidare contro Zaia magari insieme ad Alfano e a Passera, per aiutare la Sinistra, penso che ben pochi lo seguiranno. Non si può lavorare per un partito alternativo alla Lega, non si possono alimentare beghe, correnti o fazioni”. E poi via con la solita retorica dei “basta chiacchiere” e “tutti uniti per Luca Zaia”.
A prendere in mano le redini del partito in Veneto, quando mancano poco più di due mesi alle elezioni regionali è il commissario Gianpaolo Dozzo (uno dei padri della Liga Veneta, iscritto dall’83), sarà lui, assieme ai segretari del territorio veneto a compilare le liste: “Senza rancore e facendo gli auguri a Flavio Tosi, saranno i Veneti a decidere”.
La replica del sindaco è arrivata in pochi minuti, lapidaria e stroncante: “Salvini mente sapendo di mentire. Mai avrei pensato di vedere in Lega il peggio della peggior politica. Un Caino che si traveste da Abele. Resta e resterà – prosegue Tosi – la stima, l’amicizia, l’affetto per tutti i veri leghisti”. La guerra tra i due è destinata a continuare, ora in campo aperto.
Ma dove è iniziato l’ennesimo psicodramma di casa Lega? In gran parte si tratta di materiale buono per alimentare analisi da dietrologi e complottisti. Chi ci vede un’idea diversa di destra (Lepenisti alla Salvini o democristiani alla Tosi?). Chi una banale lite da cortile. Si parte almeno dalla fine del 2013, quando sulla Lega si erano da poco abbattute le scope di Maroni. Con Umberto Bossi in soffitta c’era da ricostruire un partito crollato ai minimi storici, servivano forze nuove e volti spendibili. Nel pollaio però c’erano due galli. Flavio Tosi e Matteo Salvini, per l’appunto. Pronti a darsi battaglia per prendere in mano le redini del partito. A metterli d’accordo ci ha pensato il segretario dell’epoca, Roberto Bobo Maroni, a una manciata di giorni dal congresso federale, previsto per il 7 dicembre successivo ha trovato la quadra. L’accordo, suggellato a Milano, prevedeva la poltrona di segretario per Matteo Salvini e al sindaco di Verona, che in quel momento godeva di un certo favore mediatico, era stato riservato il ruolo di leader in pectore, di condottiero nazionale anti-Renzi. Allora Tosi ha continuato a lavorare in quella direzione, facendo crescere la propria fondazione “Ricostruiamo il Paese”, aprendo fari in tutta Italia, stringendo relazioni nel centrodestra. Tutto bene finché Salvini non ha iniziato ad accorgersi della propria forza mediatica.
È stato un crescendo. Prima i sondaggi. Poi il risultato storico in Emilia Romagna. Alla fine del 2014 ha iniziato a crederci anche Salvini, tanto da iniziare a tentennare di fronte alle domande di cronisti e analisti, che sempre più insistenti gli attribuivano un ruolo guida nel centro destra. Tosi è stato a guardare per un po’ e appena si è iniziato a parlare delle elezioni venete ha iniziato a mettere i puntini sulle “i”, rivendicando il proprio ruolo di segretario della Liga Veneta e lamentando un’eccessiva intromissione del federale (Salvini) nelle decisioni della nazione (Veneto).
A quel punto è iniziato uno scambio di accuse e contro accuse, con Luca Zaia e la sua (ri)candidatura a governatore usati come terreno di scontro. Fino a quando, una settimana fa, Matteo Salvini ha buttato la palla nel campo di Tosi, appellandosi allo statuto leghista, che impedisce a un militante di avere in tasca tessere di entità terze che fanno attività politica (vedi la fondazione di Tosi). È arrivato l’ultimatum: “O la tessera della Lega o quella della fondazione”. L’ultimatum è scaduto senza che da Verona siano arrivate risposte e Tosi è stato messo alla porta.
A meno di un’ora dalla cacciata, il governatore del Veneto Luca Zaia ha messo il suo sigillo sulla contesa: “La buona notizia è che questa sera si mette la parola fine a beghe e polemiche incomprensibili che sono durate fin troppo. Resta l’amarezza per come è andata a finire, ma ora si deve voltare pagina”.