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Stefano Dionisi: “Ho scritto un libro per raccontare la mia esperienza nelle cliniche psichiatriche”

"Ci ho messo cinque mesi a scrivere 'Oltre le porte dell'inferno': sono stato ricoverato varie volte e ho voluto raccontare questo mondo visto da dentro", ha raccontato l'attore a FQ Magazine. "Cosa può salvarti? L'amore, una volta che l'ha riconosciuto"

di Patrizia Simonetti

È stato Don Rodrigo in Renzo e Lucia di Francesca Archibugi, Luciano Liggio ne L’ultimo dei Corleonesi di Alberto Negrin, nella fiction Rai La Narcotici di Michele Soavi è il potente narcotrafficante conosciuto come l’Ottavo Re di Roma e anche nelle fiction Mediaset non gli va meglio. Stefano Dionisi sembra avere un destino segnato, eppure lui non è cattivo, è che lo disegnano così…

Se non altro il film che le ha dato popolarità nel 1994 è stato Farinelli-Voce regina di Gérard Corbiau sulla vita del cantante Carlo Broschi, che era castrato ma mica cattivo.
Avevo 29 anni, ne sono passati ben 19. Ricordo che fu un lavoro particolare, l’unico che mi impegnò davvero tanto, in tutta la mia vita non ho più fatto un film che necessitasse come quello di mesi e mesi di preparazione. Ho anche dovuto imparare il francese, una lingua per me completamente nuova. Insomma, ho veramente iniziato da zero.

Però deve averle lasciato tanto.
Mi ha lasciato moltissimo. E poi fu una sorpresa perché, dico la verità, in realtà mi aspettavo che fosse un successo solo in Francia, invece poi lo è diventato in tutto il mondo e da allora ho avuto la fortuna di lavorare tanto, sia in Germania che negli Stati Uniti, mi chiamavano tanti registi stranieri. Poi le cose cambiano e la vita non è solo fare l’attore ma è piena di molto altro, per cui uno si può perdere. Però poi ci si ritrova ed eccomi ancora a fare questo lavoro.

Ma sempre nel ruolo del cattivo.
Purtroppo non è che i ruoli li scelga io, questo è un sistema, non mi permetto più di tanto di ribellarmi. Però è davvero tanto tempo che faccio il cattivo e forse anche il pubblico una volta tanto mi vorrebbe vedere carino e buono come in realtà sono, ma tanto se dico che voglio fare il buono non mi ascolta nessuno. Poi magari chissà, potrebbe capitare a sorpresa anche domani.

Tenendo presente che anche il concetto di buono dipende dai punti di vista, che buono vorrebbe interpretare?
Vediamo, Gandhi l’ha già fatto Ben Kingsley, chi altri c’è di buono? Ce ne sono tanti in realtà di personaggi, potrebbe anche essere un Che Guevara che comunque è un medico per cui ci sta che sia buono, perché buoni si nasce e chi fa il medico, anche se poi come lui sceglie un’altra scelta, è una persona che si dà davanti al dolore, alla sofferenza e al sangue. Ma io non faccio il medico, per cui…

Non deve essere per forza un buono famoso.
Infatti, ci sono tanti buoni sconosciuti sui giornali, mille buoni ogni giorno, basta solo pensarci. Di buoni è pieno il mondo, solo che fanno meno notizia dei cattivi, per cui sono sempre messi a fine pagina con un articoletto. Magari è qualche genio che ha fatto qualcosa o qualcuno che si è ribellato a un sopruso, però viene messo sempre alla fine perché interessano di più il mondo di mezzo, lo scandalo e il gossip e si dà molto più spazio al cattivo. Così anche le sceneggiature vanno in quella direzione, però magari in una di quelle sceneggiature il mio cattivo potrebbe cambiare.

Lei che si redime?
O magari mi innamoro, mi sposo, faccio un figlio.

Perché l’amore salva…
Sì, lo devi prima riconoscere, ma una volta che l’hai riconosciuto ti può salvare.

È mai stato salvato dall’amore?
A me l’amore va molto bene, oramai ho quasi cinquant’anni, sono divorziato, ho mio figlio Milo e la stessa compagna da tre anni e mezzo, una ragazza che adesso si occupa di produzione e si chiama Elena Cara. Ci siamo conosciuti quando faceva l’autista e mi portava sul set. Abbiamo fatto mille cose insieme, abbiamo viaggiato, siamo stati in Giordania, in Kentucky, a Los Angeles. Le do quello che vuole, tranne un figlio perché adesso non è il momento. Devi sempre sapere dove stai andando, le donne sono esigenti, devi stargli dietro. Quindi l’amore va bene. E l’amore salva, certo.

Lei ha vissuto e lavorato molto in America, cosa l’ha colpita in modo particolare?
Quando andavo in America le prime volte lo facevo per lavoro per cui frequentavo il jet set di Los Angeles e ho preso svariate mazzate.

Che tipo di mazzate?
Ad esempio frequentavo Nichoals Cage e anche Jodie Foster, i suoi figli sono amici del mio. Ho frequentato la Hollywood vera e quindi ho preso vere mazzate perché se tu dici “quel film con Nicholas Cage fa cagare”, in realtà non lo puoi dire, e invece io l’ho detto.

Quindi si è esposto parecchio…
È il mio lavoro, mi sono esposto sì. Comunque adesso ho scritto un libro per la Mondadori che dovrebbe uscire a maggio in cui mi sono esposto ancora di più. Lo hanno definito tra la narrativa e la saggistica, certo è qualcosa che non si aspettavano, ma per me è l’unico modo di dire qualcosa. Ci ho messo cinque mesi a scriverlo, si intitola Oltre le porte dell’inferno e parla delle cliniche psichiatriche, perché io le ho vissute. sono stato ricoverato varie volte e ho voluto raccontare questo mondo visto ‘da dentro’.

E cosa c’è in questo mondo?
Ci sono tanti personaggi, c’è il TSO, il Trattamento Sanitario Obbligatorio, ci sono le grande cliniche a pagamento e quelle convenzionate di Roma, dai seimila Euro ai 40 Euro al giorno, con tutti i dottori e quello che fanno e che ti danno, le reazioni dei pazienti, la maggior parte dei quali è morta. E ci sono io che tento di scappare, una sorta di biografia in questa ottica.

E quindi racconta anche come e quando ha deciso di fare l’attore?
Sì, c’è anche quello nel libro. Accade quando ho diciotto anni: mi trovo in uno psicodramma perché non so cosa fare, non ho una famiglia importante alle spalle, come presenza intendo, non economicamente, e in questa situazione penso di vedere mio padre che in realtà non ho mai visto. Il capitolo finisce con me che sono seduto fuori e c’è uno che passa e che mi chiede se voglio fare l’attore.

Ed è successo davvero così?
Sì, stavo seduto in via del Corso a Roma quando passa Roberto Sani che fa l’agente, ma un tempo faceva il cameriere e io avevo lavorato per lui come lavapiatti, ed è stato lui, vedendomi là, a farmi quella domanda. Così io ho risposto “dai, proviamo”, abbiamo fatto delle foto e mi sono iscritto a una scuola di recitazione. Avevo anche la fortuna di parlare l’inglese, e non erano in molti a farlo negli anni ottanta tra gli attori, è andata così.

Comunque adesso è Stefano Dionisi l’attore, era ciò che doveva fare e non ci piove.
Non ci piove, è proprio quello che volevo fare.

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