Martedì i lavoratori della società produttrice di tubi per il settore della ricerca petrolifera hanno scioperato contro la decisione. Arrivata a valle di un piano che avrebbe dovuto rilanciare le attività italiane della conglomerata. Il crollo del prezzo del barile continua invece a pesare negativamente sui conti, tanto che l'azienda non ha voluto fornire al mercato previsioni sui margini attesi per il 2015
La Tenaris di Dalmine (Bergamo), controllata dalla famiglia del presidente di Assolombarda Gianfelice Rocca, ha dichiarato 406 esuberi. Decisione contro la quale i rappresentanti dei lavoratori hanno subito indetto uno sciopero, che martedì ha fermato non solo lo stabilimento bergamasco ma anche quelli di Costa Volpino, Arcore e Piombino. La richiesta dell’azienda produttrice di tubi per il settore della ricerca ed estrazione di idrocarburi, che riguarda quasi un quarto dei dipendenti occupati a Dalmine, viene letta infatti dai sindacati come un campanello di allarme anche per gli altri siti italiani. Secondo il segretario generale della Fiom-Cgil della Lombardia Mirco Rota “la vertenza ha come obiettivo la salvaguardia dei posti di lavoro” attraverso l’attivazione di contratti di solidarietà che permettano di evitare la riduzione del personale. Che, nei progetti dell’azienda, dovrebbe riguardare 222 operai e 184 impiegati.
In effetti gli affari del gruppo che fa capo al numero uno degli industriali lombardi non sono più floridi come un tempo. La conglomerata basata in Argentina, a cui fanno capo anche Ternium e Tenova, resta uno dei maggiori produttori mondiali di acciaio. Ma Techint industrial corporation, holding italiana che la dinastia Rocca controlla attraverso la lussemburghese San Faustin, ha chiuso il bilancio 2013 con una perdita di 31,4 milioni contro i 23,6 milioni di utile dell’esercizio precedente. E all’inizio dello scorso anno l’azienda ha varato d’accordo con i sindacati un piano di riorganizzazione della presenza in Italia che avrebbe dovuto evitare 124 licenziamenti tramite il ricorso a cassa integrazione straordinaria, outplacement, part-time e mobilità con accompagnamento alla pensione e incentivi di sostegno al reddito. L’obiettivo, in teoria, era rilanciare nel giro di un anno le attività italiane
Quegli interventi non sono però bastati: il crollo degli ordinativi legato al calo del prezzo del petrolio e la debolezza del mercato sudamericano, in cui realizza gran parte dei ricavi, continuano ad avere pesanti effetti negativi sui conti della società. Il quarto trimestre 2014 si è chiuso con un utile operativo di 350 milioni, più che dimezzato rispetto ai 589 dello stesso periodo del 2013, e un utile netto sceso a 195 dai 408 di un anno prima. E il gruppo non ha voluto fornire al mercato previsioni sui margini attesi per il 2015, spiegando per bocca dell’ad Paolo Rocca – fratello di Gianfelice – che “non c’è abbastanza visibilità su troppi fattori”.
Prospettive molto incerte, dunque, per l’impero del “re delle infrastrutture” che negli ultimi anni si è aggiudicato in Lombardia ricchi appalti pubblici, dalla nuova sede della Regione al Policlinico di Milano fino all’ospedale di Legnano. Ma, nonostante le delusioni che arrivano dalle attività industriali, Rocca non rinuncia all’ambizione di guidare Confindustria a livello nazionale. Un primo tentativo è sfumato nel 2011, anno della corsa per la successione a Emma Marcegaglia: all’epoca la candidatura sfumò in favore di quella di Alberto Bombassei, poi battuto da Giorgio Squinzi. Il cui mandato scadrà l’anno prossimo. E più di un indizio – dal moltiplicarsi degli interventi pubblici alla pubblicazione di un libro sulla ripartenza dell’economia italiana, dal titolo evocativo Riaccendere i motori – fa pensare che Rocca sia intenzionato a scendere di nuovo in campo.