Consob, Antitrust, Garante della privacy, Ivass, Covip, Agcom, Aeeg, Anac e Authority dei trasporti spendono ogni anno 310 milioni per gli stipendi dei 2.300 dipendenti e quasi 24 di affitti. Nel 2013 hanno multato le aziende vigilate per 185 milioni complessivi, ma più della metà viene da un'unica sanzione. E tutti i vertici sono di nomina politica
Sono nove, hanno in totale quasi 2.300 dipendenti e costano oltre 600 milioni all’anno, poco più della metà dei quali solo per stipendi e contributi previdenziali. Questi i numeri chiave delle authority indipendenti, cioè gli enti incaricati di controllare un determinato settore dell’economia o particolari servizi tutelando sia i diritti dei consumatori sia gli interessi generali, come la libertà di iniziativa economica. Enti per i quali è attesa una riforma complessiva nel segno di un’effettiva indipendenza dalla politica e di una maggiore trasparenza del rapporto con i controllati. Per il grande pubblico, però, restano oggetti sconosciuti o quasi: passi per la Consob, l’Antitrust e il Garante della privacy, ma quanti sanno decifrare le sigle Ivass, Covip, Agcom e Aeeg? Se poi della (quasi) neonata Anac si è molto sentito parlare perché la presiede il magistrato Raffaele Cantone, assai meno nota è l’Authority dei trasporti, l’ultima nata ed entrata a regime nel 2014.
Del resto non si tratta di istituzioni millenarie. La prima ad essere stata istituita, 41 anni fa, è la Commissione nazionale per le società e la Borsa. Nel 1990, con grande ritardo rispetto agli altri Paesi europei, anche l’Italia (sotto il sesto governo Andreotti) si è dotata di un’autorità antitrust. Altra tappa fondamentale è il 1995, quando il governo Dini con la legge 481 ha disposto l’istituzione delle “autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità” e ne ha fissato le caratteristiche generali: autonomia e indipendenza – che però mal si concilia con il fatto che la nomina dei vertici è politica -, collegialità, requisiti dei componenti (“alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore”), incompatibilità con attività professionali o di consulenza, incarichi elettivi, ruoli in cda o interessi in imprese del settore di competenza. Di lì la nascita dell’autorità per l’energia elettrica e il gas, l’Aeeg, che dal 2012 si occupa anche dei servizi idrici, e dell’Agcom, nata nel 1997 sotto il governo Prodi. Che l’anno prima aveva varato anche la legge istitutiva del Garante della privacy, sulla base di quanto previsto dagli accordi di Schengen. Minimo comun denominatore è il fatto che tutti i vertici sono di nomina politica: i presidenti vengono designati direttamente dal capo del governo, che sceglie anche gran parte dei commissari. L’Agcom è una parziale eccezione, visto che i nomi dei quattro membri sono perlomeno sottoposti al vaglio del Parlamento. Fa storia a sé l’Ivass, i cui consiglieri sono nominati su proposta del governatore di Bankitalia di concerto con il ministro dello Sviluppo.
Consob prima per dipendenti e spese. Addio accorpamento sedi – Tornando ai numeri, a registrare le uscite complessive di gran lunga più elevate, 138,6 milioni di euro nel 2013, è la Consob, la commissione con il compito di vigilare sulle società quotate in Borsa e di tutelare il risparmio. Che conta anche il maggior numero di dipendenti: ben 618 per un costo che è arrivato a superare gli 89 milioni. Seguono l’authority per l’energia e il gas, con spese per 97,9 milioni, e l’autorità anticorruzione in cui è confluita anche la soppressa autorità di vigilanza sui contratti pubblici: 88,6 milioni di uscite totali di cui 41 per i 292 dipendenti. Al quarto posto l’Agcom, a quota 87,1 milioni di uscite e 300 dipendenti. L’Ivass si ferma a 64,4 milioni di spese a fronte di 355 dipendenti, mentre la più “sobria”, con meno di 11 milioni di uscite, è la Covip, che vigila sui fondi pensione.
Interessante il capitolo affitti, che stando ai bilanci 2013 ammonta a quasi 24 milioni totali. L’Agcom spende per le sedi di Roma e Napoli 5,4 milioni l’anno, l’Anac ne paga 4,8 per un immobile a due passi dalla Fontana di Trevi, l’Aeeg ne versa 4,14 per uno a Milano e un altro nella Capitale, l’Ivass sborsa 3,5 milioni per la sede di via del Quirinale che è rimasta la stessa della vecchia Isvap di cui ha preso il posto nel 2013. La versione originaria del decreto sulla pubblica amministrazione prevedeva, con finalità di risparmio, l’accorpamento in un’unica sede di tutte le authority. Ma, dopo la levata di scudi di sindaci delle relative città e presidenti di provincia, la norma è stata poi decisamente ammorbidita e si limita ora a imporre che nella sede principale si concentri non meno del 70% del personale. Con un’eccezione per la Consob, che però a Roma ha un immobile di proprietà e a Milano può contare su una sede concessa in uso gratuito dal Comune per cui paga “solo” 446mila euro l’anno per gli uffici di via Broletto 25.
Va chiarito subito che a coprire quasi interamente gli esborsi di questi organismi sono le aziende vigilate, che versano un obolo annuale proporzionato alla taglia e in caso di violazione delle regole possono ricevere multe più o meno salate (185 milioni complessivi nel 2013). Da tre anni a questa parte il contributo statale è stato per quasi tutte azzerato: resta per il Garante per la protezione dei dati personali, che per sua natura non ha una platea fissa di “vigilati” e nel 2013 ha ricevuto 8,6 milioni, per l’Anac (circa 5,3 milioni l’anno) e – solo per la fase di start up – per l’autorità dei trasporti, che ha ricevuto 1,5 milioni nel 2013 e 2,5 nel 2014. In più la Consob, nei cui ultimi bilanci il contributo pubblico risulta a zero, stando alla legge di Stabilità riceverà quest’anno 366mila euro.
L’authority di Vegas può anche intercettare. Ma è poco severa sulle sanzioni – La gamma di poteri di cui le authority dispongono è variegata. I più penetranti sono quelli della Consob. Dal 2005, con il recepimento della direttiva Ue sugli abusi di mercato dopo i crac Cirio e Parmalat, ha poteri ispettivi che comprendono la richiesta di intercettazioni telefoniche e perquisizioni (anche avvalendosi della Guardia di Finanza), la convocazione e l’audizione di chiunque sia ritenuto “informato sui fatti”, l’accesso all’anagrafe tributaria e a quella dei conti e depositi, il sequestro di beni. Nonostante il suo dichiarato attivismo, l’autorità dell’ex vice di Giulio Tremonti, Giuseppe Vegas ha concluso lo scorso anno, stando ai dati preliminari, 160 procedimenti, di cui 140 sfociati in sanzioni per un totale di 20,6 milioni di euro. Non molto se si considera che una singola multa per manipolazione di mercato può arrivare in teoria fino a 15 milioni di euro e nel 2014 le segnalazioni all’autorità giudiziaria per questa fattispecie sono state 7. A cui ne vanno aggiunte 4 per per ipotesi di violazione della normativa sull’abuso di informazioni privilegiate, illecito per il quale sono previste multe fino a 9 milioni o fino a dieci volte il prodotto o il profitto conseguito grazie al reato.
Facoltà ampie anche quelle dell’Antitrust di Giovanni Pitruzzella, chiamata a garantire la tutela della concorrenza e del mercato ma anche a contrastare pratiche commerciali scorrette e pubblicità ingannevole: può fare ispezioni servendosi delle Fiamme Gialle, disporre perizie, imporre la sospensione d’urgenza delle condotte che danneggiano in consumatore. Tra tutte le authority, è quella che più colpisce le aziende nel portafoglio: nel 2013 ha comminato multe per 122 milioni, soprattutto per effetto di una maxi sanzione da 103 milioni a Telecom per abuso di posizione dominante. Il totale è salito nel 2014 a 205 milioni, anche in questo caso per la maggior parte risultato di una sola grande multa: quella da 180 milioni a Roche e Novartis per l’ipotesi di cartello sui farmaci per la vista Lucentis e Avastin. Le linee guida approvate lo scorso autunno prevedono il pugno duro nei casi di cartello per influenzare il livello dei prezzi: alle aziende viene imposta un’ammenda pari ad almeno il 15% del valore delle vendite, con possibilità di raddoppio nei casi più gravi e per i gruppi più grandi. L’Ivass può invece tra il resto ordinare la convocazione dell’assemblea, imporre misure correttive sul patrimonio e eventualmente proporre al ministero dello Sviluppo di sottoporre l’impresa all’amministrazione straordinaria o di metterla in liquidazione. L’istituto, che nel 2013 ha preso il posto della soppressa e screditata Isvap che è stata travolta dall’inchiesta FonSai, oggi opera in modo indipendente ma “in collegamento con la vigilanza bancaria” della Banca d’Italia, il cui direttore generale Salvatore Rossi ne è presidente.