Il caso Ruby si chiude la mezzanotte del 10 marzo 2015, con una contrastata sentenza della Cassazione (arrivata dopo ben dieci ore di discussione) che rigetta infine il ricorso contro l’assoluzione in appello, dunque conferma il proscioglimento di Silvio Berlusconi da entrambi i reati di cui era accusato, prostituzione minorile e concussione.

Niente prostituzione minorile: non c’è la prova certa che sapesse la vera età di Karima El Mahroug, in arte Ruby, che, minorenne, nel 2010 frequentò le feste di Arcore dove una schiera di ragazze aveva rapporti sessuali a pagamento con il padrone di casa. Niente concussione: l’allora presidente del Consiglio nella notte del 27 maggio 2010 chiamò i funzionari della questura di Milano e fece pressioni perché rilasciassero Ruby, in fuga da una comunità a cui era stata assegnata, ma il suo comportamento, secondo i supremi giudici, non configura il reato di concussione.

Questo verdetto dimostra che Berlusconi è stato per cinque anni perseguitato senza colpa dai magistrati milanesi, strillano i fedelissimi di Silvio. Indagato e processato per comportamenti privatissimi che non dovrebbero interessare i pubblici ministeri. No, non è così. Anche la sentenza d’appello che l’ha assolto ha confermato che le “cene eleganti” erano il dispiegamento di un “sistema prostitutivo” di cui facevano parte anche minorenni. E che le pressioni sui funzionari della questura, per ottenere un indebito vantaggio, ci sono state, con un “abuso della propria qualifica per scopi personali”. Lo ha ammesso perfino l’autorevole difesa del professor Franco Coppi: “Nemmeno noi contestiamo che ad Arcore avvenissero fatti di prostituzione con compensi”. E “che i poliziotti fossero contenti di aver fatto un favore a Berlusconi, questo ve lo concediamo”.

I fatti, dunque, sono chiari e definiti. In un Paese normale sarebbero sufficienti a escludere per sempre dalla scena pubblica il loro protagonista. In Italia invece le assoluzioni (e a volte bastano anche solo le prescrizioni) santificano l’imputato. E dal punto di vista giudiziario? Dobbiamo accettare la giustizia non assoluta che non ha a disposizione pistole fumanti, ma distilla indizi e prove logiche, che può interpretare gli stessi fatti in modi diversi, può a volte a volte assolvere, a volte condannare. L’unica giustizia certa e assoluta è quella della sharia. È vero, però, che viene da pensare che a Berlusconi siano state applicate soglie di rigore probatorio che di solito non valgono per i comuni mortali e per i poveri cristi.

Sulla concussione, poi, non si può non osservare che lo “spacchettamento” operato dalla riforma Severino (concussione per induzione, concussione per costrizione) abbia reso questo reato difficilmente contestabile. Poteva andare diversamente? Si. Non solo perché diverse potevano essere le interpretazioni giuridiche in appello e anche in Cassazione (sembrano dimostrarlo le dimissioni del presidente della corte d’appello Enrico Tranfa e le dieci ore necessarie per arrivare alla sentenza il 10 marzo).

Ma perché diversa avrebbe potuto essere, a monte, anche l’impostazione giuridica dell’accusa. Per esempio, la procura fin dall’inizio avrebbe potuto contestare la concussione al funzionario della questura che preme sui poliziotti affinché rilascino Ruby e a Berlusconi in concorso. Sarebbe stata un’impostazione più solida, garantiscono alcuni giuristi. La storia ha preso un’altra strada. E ora sarà l’inchiesta Ruby ter a dirci se il caso è davvero chiuso.

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