Atlante immaginario (Marsilio), il nuovo libro di Giuseppe Lupo fa immediatamente pensare alla leggerezza tanto cara a Italo Calvino. Pagina dopo pagina, l’autore conduce il lettore in un viaggio tra realtà e fantasia attingendo alla bellezza dei pensieri con un volo pindarico sui cieli della vita, dell’arte e della cultura. Attraverso appropriate citazioni, descrizioni di opere e piacevoli aneddoti ricchi di riflessioni è possibile ‘visitare’ luoghi dell’anima e Città invisibili e visibili.
Il volume arriva in un momento in cui la virtualità ha superato l’immaginazione, spegnendo di fatto la ricerca del colore dei sogni con il bianco e nero della fredda tecnologia; è come illuminare uno splendido monumento con la glaciale luce di un neon. Invece, quello narrato dalla memoria di Lupo, è un mondo che si rivolge all’orecchio dei sensibili; a coloro i quali ancora credono che la bellezza possa salvare il proprio microcosmo onirico. E la chiave è proprio in questo, poiché nella distanza tra reale e immaginario intercorre tutta una serie di scenari, per cui ciascuno naviga nelle mappe della vita con geografie personali fatte di sogni e speranze.
E non importa se l’itinerario sia utopico, perché l’utopia, spesso, è più concreta del previsto. In un momento di crisi come questo, tali libri aiutano a calmare gli animi, a riportare l’equilibrio mediante la magia della lettura che diviene un treno della libertà per fermarsi alla stazione giusta o per continuare il viaggio scorrendo paesaggi dal finestrino. E’ una storia piena di storie, quella raccontata da Lupo, che ci fa immergere in una dimensione più umana e più giusta, per alimentare il respiro di aria pulita in un contesto sociale ormai saturo di episodi e notizie così negativi e ‘inquinanti’. Nella sua Ultima Thule Francesco Guccini ci racconta il senso del proprio atlante quando canta “ma ancora farò vela e partirò io da solo, e anche se sfinito, la prua indirizzo verso l’infinito che prima o poi, lo so, raggiungerò“.
Fare vela, anche se sfiniti, verso i luoghi dell’infinito con la convinzione di raggiungerlo prima o poi. Ciascuno, in fondo ha questo sogno: viaggiare verso terre lontane o immaginarie. O semplicemente vedere le cose che vede ogni giorno con occhi diversi, ripescando “esistenze naufragate”. E’ questa, forse, l’ancora di salvezza per trasformare il grigiore dell’abitudine nella luminosità della fantasia. Lo dimostra chi ha la fortuna di vedere la terra dallo spazio: da molto lontano ne vede la bellezza assoluta, ne apprezza i disegni divini e l’insieme colorato. Senza pensare che a colorarla siamo noi, perché gli atlanti, come afferma l’autore, “non sono soltanto repertori geografici utili a dichiarare com’è il mondo, ma anche a immaginarlo, vero o presunto che sia, a sognare orizzonti o percepire un altrove che avrei voluto (o vorrei ancora) conoscere”.