Ci sono occasioni nelle quali il nostro Paese sembra vivere in un universo parallelo nel quale quello che altrove è il passato o, al massimo, il presente per noi rappresenta, nella migliore delle ipotesi, un futuro lontano che forse arriverà.
E’ un pensiero che si impadronisce di chiunque si trovi ad accostare due notizie che in questi giorni stanno rimbalzando online. La prima è l’annuncio del lancio, da parte di alcuni dei più grandi media francofoni del mondo – dal francese Le Monde alla belga Rtbf – di ‘source sure’, la prima piattaforma francese per il c.d. whistleblowers ovvero il fenomeno, ormai celeberrimo nel mondo intero, delle denunce anonime che hanno consentito di scoperchiare, negli ultimi anni, fatti, circostanze ed episodi di straordinario interesse pubblico in ambito nazionale ed internazionale.
La piattaforma in questione che consentirà, a chiunque di segnalare ai grandi media che l’hanno lanciata ed agli altri che decideranno di aderire al progetto fatti e circostanze utili a dare il via ad inchieste giornalistiche di ogni genere, ha – come ha ricordato nelle scorse settimane Guido Romeo su Wired – un cuore tutto italiano essendo stata sviluppata dal Centro Hermes per la trasparenza ed i diritti umani digitali.
La seconda notizia è il lancio, da parte dell’Autorità nazionale anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone, di una consultazione pubblica sulle ‘Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblower)’ messe a punto dalla stessa Autorità.
Le linee guida – spiega la stessa Autorità sul proprio sito – hanno lo scopo di “promuovere l’applicazione di adeguati sistemi di whistleblowing presso tutte le pubbliche amministrazioni, individuando, al contempo, criteri idonei per la tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti di cui viene a conoscenza nell’ambito del rapporto di lavoro”.
L’intervento dell’Autorità anticorruzione in materia è figlio della nuova disciplina anticorruzione che, nel 2012, ha introdotto in quella sul pubblico impiego una norma secondo la quale “fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia”.
Un primo timido ed embrionale esercizio di istituzionalizzare – in modo parziale ed impreciso – il whistleblowing nel nostro Paese come, peraltro, previsto in numerose convenzioni internazionali in ambito, Onu, Ocse e Consiglio d’Europa, tutte ritualmente ratificate anche dall’Italia.
Le due notizie – il lancio di source sure e le linee guida sul whistleblowing dell’Autorità anticorruzione – sono inevitabilmente legate da un sottile filo rosso giacché entrambe concernono iniziative che muovono dalle stesse premesse e vanno nella stessa direzione. Vi sono circostanze nelle quali garantire l’anonimato di chi segnala un fatto di interesse pubblico deve essere tecnicamente e giuridicamente possibile, ed è politicamente e democraticamente opportuno ed auspicabile per promuovere l’emersione di fenomeni altrimenti destinati a rimanere coperti da una coltre impenetrabile di silenzio dettato da piccoli e grandi timori di ripercussioni contro il segnalante nella sua vita personale o professionale. Eppure il filo rosso che unisce le due notizie, a ben guardare, è tanto sottile da sembrare impercettibile.
I grandi media francesi, infatti, attraverso la tecnologia alla base della piattaforma in questione sviluppata – val la pena ricordarlo grazie a teste e passione di casa nostra – garantisce un anonimato assoluto al segnalante nel senso che l’autore della denuncia può contare su un’assoluta irrintracciabilità anche e soprattutto da parte dei media destinatari della segnalazione che non sanno neppure da dove la segnalazione proviene.
L’Autorità nazionale anticorruzione – in parte, va detto per onestà intellettuale, anche in ragione di un non esaltante contesto normativo nel quale deve muoversi – al contrario, mette nero su bianco nel proprio provvedimento che esso non riguarda “il soggetto che nell’inoltrare una segnalazione, non renda conoscibile la propria identità” giacché “la ratio della norma” – secondo l’Authority – sarebbe quella “di prevedere la tutela della riservatezza dell’identità solamente per le segnalazioni provenienti da dipendenti pubblici individuabili e riconoscibili”.
Muovendo da questa premessa, ovviamente, l’intero provvedimento disegna un procedimento nell’ambito del quale il dipendente pubblico che intenda denunciare un fatto illecito debba prima farsi riconoscere in modo puntuale dall’ufficio al quale intende inoltrare la segnalazione e solo successivamente, ottenuta una sorta di ‘identità protetta’, rappresentata da un numero, procedere alla segnalazione ‘firmata’ con il numero in questione anziché con il proprio nome e cognome.
Tale forma di pseudo-anonimato o, forse, meglio di anonimato (poco) protetto, peraltro, è destinata a cadere in una serie di ipotesi che vanno dalla falsità o diffamatorietà della segnalazione alla essenzialità dell’identità del segnalante al fine di consentire al soggetto segnalato di difendersi nell’eventuale procedimento disciplinare o di altro genere.
E’ un processo – che interpreti o meno in modo corretto lo spirito della legge che vorrebbe attuare – anni luce lontano dal fenomeno del whistleblowing che la piattaforma lanciata dai media francesi promuove ed abilita. Ed è una circostanza che fa nascere davvero il sospetto che talvolta le nostre istituzioni siano scollate da ciò che succede nel resto del mondo e, forse, persino nel nostro Paese.
E il sospetto diventa certezza quando, nel documento posto in consultazione pubblica dall’Authorithy anticorruzione si legge che “Atteso che l’attuazione del sistema informatico per la gestione delle segnalazioni sarà completato nel medio termine a motivo della sua complessità tecnica” frattanto i dipendenti pubblici che lo desiderano possono utilizzare un apposito modulo – pure pubblicato sul sito internet dell’Autorità – battezzato, con nome infelice, ‘modulo per la segnalazione whistleblowing’, nei cui primissimi campi si chiede all’aspirante segnalante anonimo di fornire il proprio nome e cognome, la propria qualifica e sede di servizio attuale ed al momento del fatto segnalato.
Possibile che nel Paese del Centro Hermes che ha sviluppato una piattaforma di whistleblowing vero serva tanto tempo e risulti tanto complesso – anche ammesso che questa sia davvero la strada giusta – per sviluppare una piattaforma di pseudo-whistleblowing? Sembra un’ennesima occasione – se mi si consente l’autocitazione – nella quale lo Stato dice ai propri cittadini e, nella fattispecie ai propri dipendenti: “Meglio se taci“, come abbiamo titolato – tra l’altro parlando anche di questo – un libro appena uscito in libreria, scritto con Alessandro Gilioli.
Nessun intento polemico contro un’Authorithy che tra mille difficoltà e dentro una cornice normativa oggettivamente ambigua, talvolta ipocrita e pachidermica sta provando ad importare a casa nostra briciole di legalità, trasparenza e anticorruzione, ma se si continua così il futuro diventa sempre più lontano e la speranza di un Paese più democratico, onesto e produttivo si trasforma in utopia.