Il viaggio è interminabile, anche perché Chatwin non guida benissimo: ad esempio, d’ogni tanto gli si spegne il motore, non oso domandargli perché. A un certo punto ci fermiamo a Sientrasnosales (letteralmente, Se-entri-non-esci), un villaggio orrendo con un supermercato forse progettato dall’architetto della Città degli Immortali di Borges dopo una scorpacciata di peyote. Lì Chatwin, stupidamente, accarezza un cane randagio che lo morde a sangue. La scena si svolge davanti a un cartello pubblicitario che dice “Cannes: el rico de ser perro”: Cannes, il bello di essere cane (mordere i turisti, suppongo). Non capisco cosa c’entri Cannes con i cani, forse si riferisce ai peggiori attori della Mostra del cinema, comunque ripartiamo sgommando.
Quando Dio vuole, arriviamo a Huilo Huilo, mentre Chatwin, per tranquillizzarmi, mi racconta dei nativi Mapuche: a sentir lui, non si fanno vedere più in giro dopo che i primi colonizzatori spagnoli hanno ammazzato gli adulti e venduto i bambini come schiavi, provate voi a dargli torto. Le famose cascate, lo dico solo per mettervi in guardia, erano senz’acqua, Chatwin ha provato a dar la colpa alle multinazionali yankee ma la verità è che siamo alla fine della stagione secca e che fare trecento chilometri per vedere cascate senz’acqua è come leggere Baricco pensando di divertirsi. Ricordate la scena del film di Nanni Moretti in cui i protagonisti aspettano l’alba sulla spiaggia, e poi l’alba arriva dalla parte opposta? Ma com’è andata a finire, a questo punto, ve lo racconto un’altra volta, e se poi non torno almeno avvertite mia madre.