Il nostro ministro dell’economia Padoan, all’inizio, sembrava persona seria, poco propensa a fare dichiarazioni di qualunque genere, lavorava e stava zitto, non faceva propaganda.
Ed era esattamente ciò che deve fare un ministro serio, perché, anche se ormai non lo dice più nessuno, non è compito dei ministri (e tanto meno del Presidente del Consiglio) fare propaganda. I partiti e i loro segretari ci sono proprio per far quello ma… ma adesso (da diversi anni per la verità) il Presidente del Consiglio e il capo del partito di maggioranza sono la stessa persona, così il potere (e il dovere) dell’esecutivo si confondono con il potere (e la propaganda) della funzione politica. A tutto vantaggio dei partiti e dei politici, ovviamente, che in questo modo, essendo le due funzioni congiunte nella stessa persona, possono evitare che il potere faticosamente conquistato possa loro sfuggire di mano a causa delle ‘distrazioni’ che un primo ministro, oberato dai problemi della sua funzione esecutiva, possa dimenticarsi di fare ciò che è necessario per mantenersi politicamente al potere.
In un siffatto sistema la parola ‘democrazia’ assolve esclusivamente la funzione propria della ‘foglia di fico’, a coprire cioè la vergogna di un sistema che di democratico ha salvato solo il titolo. E’ quindi probabile che anche il mite Padoan, contagiato inesorabilmente dalle sirene della politica pigliatutto, si sia lasciato convincere anche lui ad unirsi al coro delle ocarine mediatiche del giovane navigatore fiorentino assiso in Roma, per convincere quanti più teleutenti è possibile che la rotta da lui individuata è quella giusta per uscire dalla tempesta e che, con un po’ di pazienza e di fiducia, giorni radiosi arriveranno presto a riscaldare i cuori dei martoriati cittadini.
E infatti è proprio con un sorriso radioso e suadente che il nostro ministro dell’economia martedì scorso a Ballarò ha dichiarato ufficialmente a milioni di telespettatori (davanti ad un cartello che illustrava esattamente l’opposto di ciò che lui diceva) che abbiamo già dei chiari segnali di ripresa. Il cartello diceva che la produzione industriale è tuttora in calo, che l’erogazione dei prestiti da parte delle banche è in discesa e che l’unico indicatore in salita, tra quelli proposti, era solo quello della disoccupazione. Beato lui che ci vede una ripresa!
Ma questo è proprio il punto. Quel pochino di ripresa che arriva a far sorridere persino Padoan non è merito nè di Renzi nè di Padoan, ma casomai di Draghi perché, lo abbiamo visto da Monti in avanti, le politiche di austerity hanno fatto solo disastri, e anche se adesso accompagnano quelle politiche con le velleitarie affermazioni che occorre puntare alla crescita, in effetti le politiche di austerità non le ha ancora cancellate nessuno, e che da quelle possa arrivare una crescita, è del tutto lecito dubitare visti i risultati degli ultimi tre anni.
Draghi in soli tre mesi ha compiuto un’autentica rivoluzione attuando una svalutazione dell’euro pari a circa il 30% di deprezzamento nei confronti del dollaro. Per una economia della portata complessiva di quella europea è una svalutazione gigantesca, fatta oltretutto di corsa, allo scopo di fermare una deflazione gravissima che stava per diventare inarrestabile.
Le armi di Draghi sono però ‘spuntate’ al confronto di quelle normalmente in possesso delle altre grandi banche centrali, che godono di completa autonomia. Comunque, la manovra di Draghi, sul piano tecnico, è la classica manovra monetaristica usata da quasi un secolo da tutte le nazioni allo scopo di rilanciare la propria economia in crisi, quindi se un appunto si può fare è casomai il perché non si è deciso a farlo prima. Questa manovra, per essere veramente efficace e tempistica doveva essere fatta già nel 2012. Fatta nel 2015 dopo che tutte le altre grandi economie l’hanno fatta (non per colpa di Draghi probabilmente) è troppo tardi per aspettarsi che abbia una completa efficacia sostanziale.
E infatti Draghi la accompagna con l’altra politica monetaristica del Quantitative Easing (di cui al mio recente post), ma anche in questo caso arriva molto in ritardo rispetto soprattutto alle operazioni della Federal Reserve americana che ha già pompato nel sistema bancario e finanziario americano la bellezza di oltre 2500 miliardi di dollari nelle tre operazioni di QE arrivate ora alla conclusione. L’efficacia del QE, tuttavia, non è garantita. Per essere davvero effettiva dovrebbe essere controllata molto più strettamente. Mi spiego (anche se ne ho già parlato nell’articolo di cui sopra). Il QE ha lo scopo di fornire liquidità alle banche europee, acquistando una parte cospicua dei loro crediti. In questo modo le banche tornano ad avere disponibilità per fare nuovi prestiti alle imprese e alle famiglie.
Fin qui la teoria, ma la pratica? In pratica questo scopo potrebbe rivelarsi solo un miraggio, perché (e parlo per esperienza diretta avendo fatto questo mestiere per diversi anni) le banche serie normalmente non finanziano le imprese in crisi, finanziano le imprese solide, che hanno già buone capacità di rimborso e sufficienti garanzie (normalmente ipotecarie). Quindi si comporterebbero esattamente come ha fatto la Bce con la Grecia: agli altri paesi sì, a te no perché sei già troppo indebitata.
Il rischio è quindi che, senza precise regole da parte delle autorità europee (ed eventualmente di garanzie accessorie rilasciate proprio dalla Banca Centrale), le banche non finanzieranno le imprese più bisognose di aiuto, e utilizzeranno quella montagna di denaro per fare altre valanghe di operazioni speculative dalle quali otterrebbero certamente guadagni maggiori e più immediati.