Per rispondere alla domanda bisogna però mettere in ordine i fatti. L’OPA per acquisire la maggioranza delle azioni di RaiWay non è certo contra legem. Si tratta di un istituto tipico e regolato del mercato mobiliare. E a poco serve il richiamo continuo al DPCM del settembre del 2014 che nel suo preambolo afferma stentoreo che il 51% delle azioni comunque deve restare in mano pubblica.
“E’ il mercato bellezza” dicono i difensori dell’esecutivo. Ed in effetti le regole societarie prevalgono sul provvedimento del governo. Quest’ultimo se fosse stato seriamente intenzionato avrebbe dovuto porre il limite di accesso all’azionariato privato nella legge di riferimento (l. n. 89/2014). La stessa Consob si è limitata a chiedere chiarimenti, non a dichiarare illegale l’OPA.
Vedremo in concreto come andrà a finire, visto che la Rai ha dichiarato di non voler scendere sotto il 51%. Materia di cui eventualmente si occuperanno i Tribunali e che comunque è servita ad introdurre un elemento di tensione nel sistema, forse utile a chi lo ha prodotto in altre partite. Il punto vero della vicenda tuttavia non è l’OPA, ma ciò che ne consegue.
EI Towers è un soggetto già dominante nel mercato delle infrastrutture tecniche per le trasmissioni radiotelevisive e per di più verticalmente integrato con il principale editore televisivo privato. In nessun paese europeo quanto sta succedendo sarebbe possibile perché i soggetti che gestiscono le reti e le torri di trasmissione sono sempre per legge separati dalla proprietà delle aziende editrici. Ma si sa da noi tutto è relativo, tanto che in passato le Autorità preposte, AGCM e Agcom, hanno ritenuto di autorizzare una fusione che già di per se presentava problemi sul piano della concorrenza e del pluralismo (quella che ha dato origine a EI Towers tra DMT ed Elettronica industriale controllata da Mediaset).
L’altro scenario che si profila, secondo alcuni il vero intento dell’operazione, sarebbe non tanto il tentativo di acquisizione, ma un accordo di gestione comune delle infrastrutture tra Rai e Mediaset (cioè RaiWay e EI Towers), magari con la partecipazione di un soggetto istituzionale come la Cassa Depositi e Prestiti. Un unico gestore integrato nella distribuzione dei segnali TV costituito in barba a qualunque regola di tutela del pluralismo e soprattutto in palese condizione di dominanza congiunta.
Pochi ricordano però che l’Italia è ancora oggetto di una procedura di infrazione dell’Unione Europea proprio a causa della situazione di dominanza congiunta di Rai e Mediaset nel mercato televisivo, in particolare in quello delle infrastrutture. Ora è francamente singolare che lo Stato, cioè Rai o Cdp, possa infilarsi in una operazione del genere, la quale come è noto potrebbe dar luogo a condanne molto pesanti nei confronti dell’Italia da parte degli organi comunitari. Vedremo come andrà a finire e soprattutto se un eventuale accordo sulla gestione comune delle torri comprenda anche le frequenze, il vero business dei prossimi anni anche in vista della riassegnazione della banda 700 attualmente utilizzata dagli operatori televisivi e destinata ai collegamenti per la larga banda.
Ciò detto se la vicenda RaiWay è incredibile, inquietante è la proposta che pare voglia fare Palazzo Chigi sulla riforma della governance del servizio pubblico. Via i partiti dalla Rai ma dentro il governo con un amministratore unico eletto sostanzialmente dalla stesso. Uno zar dell’esecutivo a cui viene messo in mano tutto il potere dell’informazione pubblica con buona pace della giurisprudenza della Corte Costituzionale, che dal lontano 1975 ha sempre detto il contrario, e soprattuto dei principi in materia di pluralismo. La vicenda o meglio la deriva Rai dimostra infatti ancora una volta come non sia vero che la tecnologia digitale abbia disarticolato la gerarchia del potere e la sua concentrazione. I media, soprattutto la televisione, restano fortemente oligopolistici, intrecciati saldamente con i soggetti che detengono l’autorità politica. Utili a questi ultimi come il pane per imporre il consenso in una democrazia sempre più labile e inconsapevole.