“Negli occhi della gente vedi quello che vedranno non quello che hanno visto”. E ancora: “Se non sai che musica è, allora è jazz”. Oppure: “Non sei fregato veramente fin quando hai una buona storia e qualcuno al quale raccontarla”. Le citazioni che ricordiamo, come sovrimpresse nella memoria tattile, incollate alla corteccia cerebrale, ci sono tutte. “Novecento”, una delle prove migliori di Alessandro Baricco, è di tutti, è patrimonio collettivo. Le sue parole, e tutto il non detto tra le poche righe del libretto, fanno parte del substrato di una generazione, dell’humus di un sentire, di un habitat che abbiamo condiviso, in comodato d’uso, che abbiamo navigato ed annusato.
Una storia nella storia nella storia che si apre ad infinite altre storie. E’ la storia dell’uomo, della sua curiosità, delle sue paure, ma anche del suo coraggio, del suo lanciarsi in imprese colossali come perdersi in poca acqua. E’ per questo che Novecento (dal quale fu tratta anche la pellicola del 1998 La leggenda del pianista sull’Oceano di Giuseppe Tornatore con Tim Roth protagonista, tra l’altro doppiato da Massimo Popolizio, ed una piccola parte di Gabriele Lavia) siamo noi, con le nostre pieghe e piaghe, le rughe, i sorrisi tirati e gli entusiasmi, facili come le lacrime. Siamo l’infinito e siamo nulla in confronto al Tempo, alla Natura, ma ci siamo, siamo qui per dire la nostra, per portare il nostro mucchietto di sabbia nel grande ingranaggio, nella grande clessidra dell’universo.
C’è tutto questo nelle parole (lette ma non sembra) di Ciro Masella (interprete di caratura consolidata che nel proprio curriculum può vantare esperienze quattro “pesi massimi” teatrali: Ronconi, Castri, Tiezzi e Massini) che dietro il leggio (le repliche fiorentine sono state organizzate dalla Nexus) pare danzare con i suoi passi che a fermarsi a fotografarli, scattando con le ciglia, viene in mente Muhammad Alì, “vola come una farfalla, pungi come un’ape”, incollati al terreno ma capaci di leggeri tocchi che sembrano proprio quelli del pianista protagonista, il nostro eroe anti-eroe. Siamo, dopotutto, uomini novecenteschi. Masella (grande e pieno il suo 2014 con la ripresa dell’Ubu Roi di Latini, i suoi Muro e Gioco di specchi, e l’entrata in Thanks for vaselina di Carrozzeria Orfeo) riesce a colorare le varie voci presenti, a dare vita e toni differenti, a far sentire le onde burrascose come le note più dolci, affabula, scolpisce, sibila lieve, ora sprofonda grave, tratteggia (spunta anche un’amabile “imitazione” affettuosa e tenera di uno dei suoi Maestri, Luca Ronconi, con il quale ha lavorato agli inizi della sua carriera), armonizza, delinea, rimbalza.
Tiene il filo come direttore d’orchestra tra l’oceano impetuoso e gli ottantotto tasti che sembra di sentirli rammentare e rammendare, togliere e levare, ci porta fin dentro il cratere delle paure umane, il restare e l’andare, la scoperta che può essere anche fuga, la ricerca del nuovo che può diventare un’evasione da sé. Masella (che per i prossimi mesi ha in cantiere gli spettacoli Che fine ha fatto Cenerentola di Giacomo Fanfani, la riduzione di Diario di un curato di campagna di Georges Bernanos a cura di Stefano Massini, e l’Aminta da Torquato Tasso) è il Master di questo gioco, burattinaio della platea naufraga, adesso salvata dalla scialuppa della speranza, ora immersa nella schiuma a boccheggiare. Ma, purtroppo, una domanda sorge spontanea: chi altro faceva il pianista sulle navi da crociera?