Il rappresentante di una cooperativa è stato ritenuto non punibile per non aver dato allo Stato 850mila euro. Il tribunale ha riconosciuto la scriminante della forza maggiore: solo in questo modo ha potuto mantenere gli impegni finanziari con i suoi dipendenti
Preferisce pagare i dipendenti piuttosto che versare l’Iva. E il tribunale lo assolve riconoscendo la scriminante della forza maggiore. Succede a Marsala, dove il giudice monocratico ha ritenuto non punibile per l’omesso versamento di 850.000 euro un imprenditore ferrarese, M.A., legale rappresentante della cooperativa siciliana.
Il periodo d’imposta oggetto della contestazione si riferiva all’anno 2010. M.A. prende in mano le redini dell’azienda in marzo. E si trova di fronte una situazione non proprio rosea, che gli impedisce di effettuare accantonamenti per il pagamento Iva. Nello stesso periodo la cooperativa vola sul mercato della logistica, sviluppando un volume d’affari superiore ai 5 milioni di euro, ma i crediti faticano a essere incassati. Nelle casse finiscono appena 2 milioni. E questo a fronte di costi per il personale per circa 4 milioni.
E qui avviene la scelta “di cuore” dell’imprenditore: prima vengono i dipendenti, poi lo Stato. Una decisione che, come proverà in dibattimento il suo difensore, l’avvocato Pasquale Longobucco, si poggia anche su precisi fondamenti giuridici.
Il mancato incasso dei crediti infatti aveva posto la cooperativa in una situazione di mancanza di liquidità. Un elemento oggettivo e indipendente dalla volontà dell’imputato che finisce in tribunale per fungere da causa di forza maggiore. E dunque non imputabile all’imprenditore. Anche perché, seguendo la cronistoria del bilancio della società, la mancata liquidità non dipendeva da mala gestio dell’imprenditore, che anzi era riuscito a risollevare le sorti della cooperativa attraverso un sensibile incremento del volume di affari. “D’altro canto – aggiunge l’avvocato Longobucco – se il dirigente avesse privilegiato il pagamento dell’imposta a scapito degli stipendi dei dipendenti, oltre a violare la par condicio creditorum imposta dalla legge fallimentare, sarebbe incorso (almeno astrattamente) nel reato di bancarotta preferenziale. Conseguentemente, l’imputato al momento del fatto si è trovato costretto a non poter agire diversamente se non violando il precetto penale”. Una violazione che però, come dirà il giudice, in questo caso “non costituisce reato”.