Visto un Maurizio Landini insolitamente imballato ieri sera a Bersaglio Mobile, sugli schermi de La7. O meglio, ciclonico come al solito nel denunciare il dilagare delle disuguaglianze nella società italiana, a seguito dei processi di impoverimento e precarizzazione del lavoro; estremamente reticente sulla strategia che la Fiom sta varando per produrre controtendenze alla deriva NeoLib renziana.

Il solo dato abbastanza chiaro è che – su chiamata dei metalmeccanici – si intende creare una rete (in altri tempi si sarebbe detto “un rassemblement”) di soggetti collettivi pronti a impegnarsi in comuni battaglie sociali.

Ecco il punto: per “una politica che parta dal sociale”. Formula ricorrente da decenni, ma che non riesce mai a liberarsi dall’alone di indeterminatezza in cui è avvolta; visto che se l’azione organizzata non trova una sponda nelle istituzioni, tale da tradurne le istanze in decisione, rimane condannata alla pura e semplice testimonianza.

Landini lo sa benissimo, ma sa anche che la sua proposta rischia di finire in due trappole mortali, tanto da dover marciare con il freno a mano tirato: la trasformazione del campo politico istituzionale in una immensa mucillagine di opportunismi e carrierismi, dove le connotazioni canoniche di destra e sinistra diventano indistinguibili; l’inutilizzabilità delle categorie tradizionali con cui le lotte del lavoro venivano riformulate in campagne politiche.

D’altro canto, dopo esperienze pluridecennali di esiti referendari sistematicamente disattesi e iniziative popolari abortite, sarebbe a dir poco ingenuo pensare di limitare a queste armi abbondantemente spuntate l’azione di contrasto della controriforma anti-democratica in marcia. Quanto resta indispensabile è un saldo punto d’appoggio nelle sedi di governo, con cui attuare una virtuosa divisione del lavoro: ai movimenti articolare le domande collettive, alle istituzioni fornire risposte coerenti che avviino i cambiamenti nel senso atteso.

Una dinamica bloccata dagli enormi accumuli di zavorra che intasano l’area dove ci si richiamerebbe alla democrazia progressista; tanto da imporre un radicale resettaggio del lessico politico, in cui “sinistra” sarà sostituita da metafore meno compromesse: “basso”, “fuori”, “anti-establishment”. Tanto da rendere assolutamente insopportabili – in quanto mistificatori (o peggio, insinceri) – i ricorrenti appelli a “posizioni unitarie”. Come si sente ripetere in questa fase di preparazione alle elezioni regionali. Ad esempio nella mia Liguria, dove lo stradatato appello al “pas d’ennemis à gauche” ha consentito a qualche anima bella di predisporre la propria ascesa al paradiso del politicamente corretto, ha offerto riflettori per i canonici quarti d’ora di celebrità per autonominati kingmaker, ma ha finito per ridare verginità a spezzoni di Casta locale più che compromessa e individuare “il nuovo che avanza” in un vecchio sindaco comunista che mai si oppose al sistema di potere locale (burlandiano), non particolarmente sensibile all’ambiente e – sino a poco prima della chiamata – adepto dichiarato del super-notabile Cofferati.

Tanto l’operazione Fiom come le battaglie locali avrebbero bisogno di un soggetto politico antiCasta/AltraPolitica. Quello che genericamente possiamo chiamare “modello Podemos”. Che – tuttavia – non riesce ad emergere. Nonostante se ne sia parlato. In Toscana la lista alla spagnola “Buongiorno Toscana” non pare mantenere fede al progetto del suo promotore iniziale – il livornese Andrea Raspanti – smarrendosi nelle logiche dei vecchi apparati della sinistra “rossoantico”. In Liguria l’ipotesi è stata accantonata sul nascere, quando parte dei suoi propugnatori hanno preferito il facile successo degli ecumenismi benpensanti.

Il fatto è che il peso inestirpabile di vecchie biografie, avide di nuove opportunità dopo innumerevoli naufragi, ingombra lo scenario italiano rendendolo indisponibile per progetti di effettivo cambiamento. Che presuppongono la totale piazza pulita dei trasformismi mimetici. Landini ne è consapevole, tanto da accompagnare la sua uscita allo scoperto con prudenze che rischiano di ridurne l’impatto.

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