Cinema

L’orologio di Monaco, viaggio senza tempo tra Shoah, cultura e umanità di Giorgio Pressburger

Un testimone delicato e particolarissimo del Novecento alla ricerca delle proprie radici familiari e culturali, per capire, oggi, nel presente, lui stesso chi è. Questa è un’impossibile introduzione alla splendida visione del documentario, diretto dal triestino Mauro Caputo, che lunedì 16 marzo alle 21 potrà essere visto al cinema Mexico di Milano, dopo la prima al Festival di Roma 2014

di Davide Turrini

Città, paesi e continenti. Karl Marx, Felix Mendelssohn ed Heinrich Heine. La Shoah. Un regista inglese autore di un documentario che ha vinto l’ “Oscar award” e che vuole sapere tutto del nonno che girò Scarpette Rosse. Cinque identici orologi da bancarella che respirano, muoiono e rinascono insieme, come fossero esseri viventi. È un pezzetto di umanità che si dispiega, in tutta la sua “rapida esistenza”, davanti agli occhi di Giorgio Pressburger: 78 anni, una dozzina di romanzi scritti, decine e decine di regie per opere e prose teatrali, iniziative culturali animate in mezza Europa.

Cinque identici orologi da bancarella che respirano, muoiono e rinascono insieme, come fossero esseri viventi

Un testimone delicato e particolarissimo del Novecento alla ricerca delle proprie radici familiari e culturali, per capire, oggi, nel presente, lui stesso chi è. Questa è un’impossibile introduzione alla splendida visione del documentario L’orologio di Monaco, diretto dal triestino Mauro Caputo, che lunedì 16 marzo alle 21 potrà essere visto al cinema Mexico di Milano, dopo la prima al Festival di Roma 2014.

“Nelle mie ricerche…” dice spesso la voce off di Pressburger, che innerva la struttura del prezioso film di Caputo. Perché colui che ha messo in scena Eschilo, Molière e Magris, come Mozart, Ligeti e Strauss, in questo piccolo gioiello documentario di levità e conoscenza, è una figura umilmente itinerante e riflessiva sempre in scena per le strade di quell’Europa centrale che lo ha visto nascere a Budapest nel 1937, poi fuggire nel 1956 (“sono un sopravvissuto per una serie di fortunate coincidenze”) verso l’Italia a Roma e infine a Trieste, patria di Svevo e Saba.

Giorgio Pressburger: 78 anni, è un testimone delicato del Novecento alla ricerca delle proprie radici

Innegabile che la peculiarità delle origini familiari di Pressburger lascino a bocca aperta. Una specie di mausoleo delle celebrità intellettuali, di origine ebraica, distribuite tra gli spazi sempre riscritti e contesi del centro Europa. Giorgio Pressburger è legato da vincolo di parentela con Marx (“odiava lo sfruttamento e le ineguaglianze”), ma anche con il musicista Mendelsshon, il poeta Heine, il filosofo Husserl (“quello che volle salvare i fenomeni non come apparenze ma come apparizioni”), o quel Emeric Pressburger che assieme al sodale Michael Powell deliziò le platee del primissimo dopoguerra con capolavori cinematografici. I tasselli personali diventano subito, nell’opera di Caputo, tratta oltretutto dal libro omonimo dello stesso Pressburger, qualcosa di osmotico e impregnato dal resto del mondo.

Il racconto di un uomo si fa racconto dell’uomo. “Giorgio, che conosco da tempo, è come un pretesto per parlare dell’umanità, di tutti noi”, spiega Mauro Caputo al fattoquotidiano.it. “Con la sua presenza rassicurante facciamo un viaggio nel tempo senza sapere esattamente in che momento storico ci si trova. Vogliamo trasmettere un messaggio, un insegnamento per le nuove generazioni che si stanno dimenticando la loro storia, le loro radici”. “Essere legati ad un gruppo umano crudelmente menomato come quello ebraico e dell’Europa centrale aumenta la responsabilità nel raccontarlo, perché si stanno agitando le stesse nefandezze, magari come provocazione, di oscure e antiche obiezioni”, racconta lo stesso Pressburger al fattoquotidiano.it. “Ciò che mi ha spinto a scrivere L’orologio di Monaco (Einaudi, 2003 ndr), e ad interpretare come personaggio principale questo documentario è l’attuale tendenza a far vivere solo il presente. Il presente in sé è solo un deserto. Si vive gettando nel proprio Io solo quello che si vede nell’istante che si sta vivendo”.

Città, paesi e continenti. Karl Marx, Felix Mendelssohn ed Heinrich Heine. La Shoah

Pressburger parla con un filo di voce, ma il timbro è sempre deciso, lo spunto filosofico nitido e pregnante. Cita Popper (“questa è la migliore società possibile esistita”) e Vico (“tutte le epoche torneranno, tutti gli uomini si rinchiuderanno ciascuno nelle sue solitudini, come era agli inizi”). Ascoltarlo è come osservare al ralenti il super 8 del film del passato di tutti noi: “Vedo con pessimismo il presente, non il futuro. L’uomo non è il consegnarsi cieco ad un unico momento. Il solipsismo si sta diffondendo in modo pericoloso e può sfociare nel contagio del razzismo e di sentimenti osceni incontrollati”.

Pressburger dopo aver dedicato una vita alla cultura e allo studio, all’arte e alla letteratura, si era anche candidato nel 2009 per il Parlamento Europeo con l’Italia dei Valori, senza essere eletto: “Un ruolo che mi fu offerto. Pensai e penso tutt’ora che la politica a livello europeo potesse cambiare qualcosa nell’ambito culturale. Ho dedicato la mia vita per un’Europa senza più razzismi e popoli che si odiassero. Dopo 3mila anni di massacri ho fatto di tutto perché venisse a galla la grande cultura che si è coltivata. Anche se questa esperienza politica brevissima la reputo una delusione”.

Ascoltare Pressburger è come osservare al ralenti il super 8 del film del passato di tutti noi: “Vedo con pessimismo il presente, non il futuro”

C’è infine uno spoiler del documentario che saremmo tentati di raccontare, un colpo di scena legato all’anneddoto dei cinque orologi regalati a cinque familiari Pressburger che mostra prima di tutto le infinite doti narrative del Pressburger scrittore, ma che non facciamo per lasciare l’ultima battuta cinefila e dolce allo stesso autore ungherese che elesse Trieste (“a metà strada tra Budapest e Roma”) come suo nuovo buen ritiro: “C’è un motivo all’apparenza futile che mi ha spinto ad accettare la partecipazione al film, un motivo che ha pari valore quanto tengo al mio libro da cui è tratto: l’ho fatto perché questo racconto mi ricorda Il posto delle fragole di Ingmar Bergman. Un film commovente che ho sempre amato”.

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