Arriva dal campionato amatori Uisp la storia di Keita Solelmani, ospite a Quingentole in un albergo con altri profughi e tesserato nella squadra locale per farlo inserire nella comunità locale. Per i compagni è un idolo, il suo sogno è diventare calciatore professionista e avere un permesso di soggiorno definitivo
“Il mio sogno è sempre stato quello di giocare a pallone in Europa. Vedevo i grandi campioni sui giornali, Cristiano Ronaldo e Leo Messi i miei idoli. Sognavo i loro gol e speravo, un giorno, di riuscire a segnarne uno anch’io nel campionato italiano”. Keita Solelmani, 21 anni della Guinea Bissau, sabato 7 marzo, il suo sogno l’ha realizzato. Ha segnato un gol in un torneo italiano. D’accordo, parliamo di una squadra di amatori Uisp di Quingentole, paese di qualche migliaio di abitanti in provincia di Mantova; ma il campo era rettangolare, l’erba verde, le porte regolamentari e in campo erano in 22 con le divise ufficiali, i numeri sulle maglie. Con un pubblico vero a tifare.
Per arrivarci, in Italia, Keita ha sopportato un viaggio lunghissimo dal suo paese, iniziato nel 2013. Ha attraversato il Senegal, il Mali, il Burkina Faso e il Niger. E’ arrivato in Libia dove ha lavorato sei mesi per racimolare i soldi utili a prendere una barca della speranza diretta a Lampedusa. Nell’aprile del 2014 ha raggiunto la meta e da lì è iniziata la sua avventura, che l’ha portato ad accarezzare il suo sogno avveratosi, appunto, in un mite pomeriggio del 7 marzo su un campo della provincia di Mantova. Il Quingentole, con 25 punti in classifica è quarto e affronta in casa il Correggioli, terzo con 31 punti. Sfida difficile e molto sentita in paese. Una sorta di derby del Po.
Gli ospiti mettono sotto i padroni di casa per tutto il primo tempo e anche la seconda frazione inizia sulla stessa falsariga. Sbagliano diverse occasioni, ma al 15esimo ecco che colpisce la dura legge del gol e segna il Quingentole. La partita poi finisce uno a uno, ma non importa. Perché la rete segnata dai padroni di casa non è una rete qualsiasi. Ha un significato che va oltre la prestazione perché a fare gol, con uno splendido lob a scavalcare portiere e due difensori, è proprio Keita Solelmani al suo esordio con i rossoverdi. Keita è ospite, con altri 35 ragazzi nella sua stessa condizione, di un hotel del paese, il New Garden, dall’aprile del 2014. Dopo il gol il ragazzo è stato letteralmente travolto dagli abbracci dei compagni e anche il pubblico ha iniziato a ritmare il suo nome.
In questi anni Keita e gli altri profughi ospiti dell’albergo hanno cercato di inserirsi nel contesto della piccola comunità mantovana, che li ha accolti senza particolari problemi. Ma soltanto qualche mese fa per lui e altri due ragazzi nella sua stessa condizione – Baldi Mamassamba della Guinea Bissau e Sunday Raphael della Nigeria – è arrivata l’occasione che aspettavano, quella di giocare a pallone in una squadra vera. “Ho chiesto a Auart Daniele Alberini, dirigente della società calcistica dilettantistica del paese – spiega Francesco Caso, responsabile della Cooperativa Assistenza Serena, che gestisce l’accoglienza dei profughi – di vedere se riusciva a inserire questi tre ragazzi nella sua squadra. Era un modo come un altro per farli sentire vivi e parte della comunità che li stava ospitando. Per qualche mese si sono allenati e, visto che erano bravini, sono stati tesserati”.
Sunday Raphael non passa le visite mediche e viene bloccato da un soffio al cuore, mentre gli altri due vengono tesserati. “All’inizio – racconta Auart Daniele Alberini, che si è prodigato molto per far giocare i ragazzi – devo dire che Keita e Baldi sono stati accolti con un po’ di freddezza e diffidenza dal resto della squadra. Non per questioni razziali o perché fossero dei profughi, ma perché gli altri giocatori avevano paura che gli soffiassero il posto in squadra. Ma, dopo il gol e la prestazione di sabato, è cambiato tutto”. I compagni di squadra hanno a lungo festeggiato Keita e, per ringraziarlo del gol, hanno anche postato la sua foto con la maglia del Quingentole sulla pagina Facebook della squadra definendolo, nella cronaca del match, “la perla nera Keita”.
Ma il destino per lui e per gli altri profughi è incerto, perché ora sono in Italia con permessi di soggiorno temporanei che sono rinnovati a scadenze di tre mesi. Alcuni sono in attesa di sapere se potranno godere dello status di rifugiati, altri sperano di ottenere il permesso di soggiorno definitivo. Ma il problema è il lavoro, che non c’è. Keita ci ha confessato che vorrebbe diventare un calciatore professionista. Lo vuole per sé, ma anche per la sua famiglia – la madre e quattro fratelli, il padre è morto – che con lui sta inseguendo questo sogno a forma di pallone. La comunità di Quingentole sta facendo molto per questi ragazzi e la società calcio gli ha anche procurato, in collaborazione con la cooperativa che li assiste, un insegnante che per otto ore a settimana si reca in albergo per i corsi di alfabetizzazione. Il parroco don Marco Brighi, inoltre, insieme a un gruppo di volontari del paese sta cercando di organizzare una festa in teatro, il 28 marzo, proprio per i 36 profughi. Cristiani, musulmani. Non importa. Tutti sono invitati.