Oggi chiedo aiuto agli amici che mi seguono sul blog. Chi sono i nuovi ‘trovatori’, quelli che, in tempi lontani o recenti, hanno esposto la loro ‘trovata’ per risolvere la piaga delle alluvioni?
Nell’Italia unitaria, il primo fu Giuseppe Garibaldi. E vi spiego perché.
L’alluvione romana del 1870 fu il castigo di Dio, con cui il Nostro reagiva all’affronto del Re sabaudo che aveva abbattuto il soglio papale. Non era una spiegazione scientifica condivisa da molti, alle soglie dell’età del positivismo, ma era l’interpretazione autentica dell’evento da parte del massimo esperto che all’epoca poteva trattare ex-cathedra la materia divina, Papa Pio IX. Non era un problema nuovo: la storia certificava ben 49 inondazioni in città prima di quell’evento, a partire da quella del 241 a.C., giacché Plinio il Vecchio aveva scritto che, per la posizione vulnerabile della città: «Il Tevere, anche se è soggetto a piene frequenti e improvvise, le inondazioni non sarebbero in nessun punto maggiori che a Roma.» L’evento era stato comunque tra i più gravosi di tutti i tempi e, tra coloro che si spesero per la soluzione definitiva del problema, ci fu in prima fila Garibaldi. Il povero generale si sbatté a lungo con vigore, sostenendo un suo progetto (il progetto Garibaldi) che, però, non ebbe seguito. E lo Stato diede il via alla costruzione dei muraglioni, seguendo la moda francese di quel tempo.
La sindrome di Garibaldi, che in vita sua fece di tutto ma non l’idraulico, non si limitò a colpire un padre della patria, al tempo già fiaccato da molti malanni, avanti con gli anni e pentito di molte azioni che oggi ne glorificano il ricordo. L’attitudine alla ‘trovata’ più o meno geniale da parte di esperti improvvisati, resi magari autorevoli da altri meriti, si diffuse in tutto il paese fin dall’unità, non appena qualche evento fuori dall’ordinario suscitava scalpore nell’opinione pubblica. Un’entità assai meno numerosa di oggi, poiché nel Regno d’Italia si votava per censo e la pubblica opinione era ridotta ai soli maschi che fossero anche sostanziosi contribuenti. È una sindrome in piena sintonia con il popolo di santi, poeti e navigatori tante volte mitizzato, talora ridicolizzato in Italia e all’estero, ai quali qualcuno ha anche aggiunto evasori, puttane, badanti e mariuoli, ma la postilla più giusta sarebbe ‘trovatori’.
Il trovatore di Giuseppe Verdi è un cantautore da strada ma anche un soldato, ufficiale dell’esercito ribelle, e molte altre cose ancora. Il Trovatore di Verdi parte in Mi maggiore e termina in Mi-bemolle minore: slittare di un semitono, passando da maggiore a minore esprime lo sfiancamento, l’esaurimento della storia, inizio e fine della vita, transito da una situazione conflittuale ma piena di vive passioni, al tragico epilogo per esaurimento dei protagonisti. Questa fu la sorte dei molti, politici e non, che pensarono di risolvere tutto con un tocco di bacchetta magica: la trovata del trovatore, capace di sanare tanto il problema a scala locale quanto il dilemma nazionale, vista la diffusione della malattia sull’intero territorio del paese. Peccato che l’Apollo, il teatro della prima del Trovatore, fosse costruito al margine del Tevere, in una posizione tanto pericolosa da giustificarne la demolizione quando si costruirono i muraglioni. La prima era stata data nel 1853, lo stesso anno di una delle ultime grandi piene pre-unitarie del fiume.
Potete indicarmi chi sono i nuovi trovatori del secolo XX e XXI? Chi suggerisce la via giudiziaria, penale o amministrativa, alla difesa del suolo? Chi, per difendere gli argini dalle nutrie, propone una maggior diffusione delle doppiette? Chi vuole che lo Stato intervenga per prevenire o chi per sanare? O chi preferisce lasciare il compito al mercato? Chi ritiene che i soldi risolvano tutto? O chi pensa invece che i soldi non risolvano niente? Non conosco bene le situazioni locali e, perciò, vi chiedo aiuto, perché un trovatore si manifesta sempre e ovunque.
E di tale aiuto renderò merito nel libro che sto scrivendo sulle alluvioni italiane dall’unità ai nostri giorni (se preferite, potete scrivermi all’indirizzo email ciao.renzo@gmail.com che dedico a questo libro).