Musica

Steven Wilson, “Hand. Cannot. Erase”: un album che s’ispira a un fatto di cronaca

Nel 2006 Joyce Carol Vincent viene trovata morta nel suo appartamento di Londra. La donna era deceduta da tre anni e in questo infinito lasso di tempo nessuno l'aveva cercata. Partendo da questo episodio, Wilson amplia il ventaglio delle possibilità tentando di analizzare il senso di alienazione che pervade l'uomo moderno. Gli arrangiamenti musicali non seguono una linea unica, ma vengono modellati a seconda della situazione descritta

Non è semplice tirare le fila dell’intera produzione di Steven Wilson, peraltro nuovamente ampliata dal suo quarto lavoro solistico – “Hand. Cannot. Erase.” – appena uscito per l’etichetta Kscope. Quasi trent’anni di carriera iniziata con il progetto Porcupine Tree, one-man-band che con la successiva entrata dell’ex Japan Richard Barbieri, Chris Maitland e Colin Edwin si sarebbe trasformata in vero e proprio gruppo. Nonostante i Porcupine Tree non saranno esenti da imprevedibili cambi di rotta rispetto agli esordi legati al rock progressivo – vedi l’album formato hit “Stupid Dream” o gli innesti metal che iniziano con “Deadwing” – Wilson approfondirà altri “discorsi musicali” al di fuori della band, dando vita ad una serie di side-projects notevolmente eterogenea. Si parte dalle fusioni di pop, ambient, elettronica e jazz dei No-Man – duo formato da Wilson e Tim Bowness – fino ad arrivare alle sperimentazioni dei progetti I.E.M. e Bass Communion, o alle miscele di Continuum. I Blackfield mostrano invece il lato più pop del musicista.

In aggiunta ai side-projects e ad altre numerose collaborazioni, Steven Wilson si ritaglia del tempo per far uscire album a suo nome, lavoro che sembra ormai aver preso il sopravvento sul progetto Porcupine Tree. Le innumerevoli attività di Wilson sono come una lunga serie di vasi comunicanti, nessuna è completamente immune dall’influenza dell’altra. A plasmare ulteriormente la formazione del musicista, da qualche anni si è aggiunto anche il lavoro di remixaggio del catalogo dei King Crimson e di altre band legate al progressive. “Hand. Cannot. Erase.”, pur mantenendo la consueta cura nella ricerca delle giuste sonorità, presenta una struttura narrativa più forte rispetto agli album precedenti. Le storie di fantasmi che dominavano “The Raven That Refused to Sing”, lasciano il posto a tematiche più aderenti alla realtà.

L’ispirazione per il disco arriva da un fatto di cronaca talmente sconvolgente che qualche anno dopo ne verrà tratto anche un documentario televisivo (“Dreams of a Life”): nel 2006 Joyce Carol Vincent viene trovata morta nel suo appartamento di Londra. La donna giaceva morta da tre anni e in questo infinito lasso di tempo nessuno l’aveva cercata. Partendo da questo episodio, Wilson amplia il ventaglio delle possibilità tentando di analizzare il senso di alienazione che pervade l’uomo moderno, isola nella metropoli e isolato grazie a strumenti che dovrebbero mantenerlo in contatto con gli altri (internet, social network), ma che spesso finiscono solo con l’annientare la sua personalità: “Download the life you wish you had”.

Gli arrangiamenti musicali non seguono una linea unica, ma vengono modellati a seconda della situazione descritta e in alcuni passaggi ci si avvale anche di una voce femminile – quella di Ninet Tayeb – per dare maggior attendibilità ad una storia che ha come protagonista proprio una donna. Strati e strani sonori che assorbono elementi non solo del rock progressivo, ma anche di altri generi musicali: “Home Invasion” spazia dal metal al funk, passando per il jazz, mentre la nostalgica “Perfect Life” è intrisa di elettronica e fa da contraltare al pop “Blackfield-style” della precedente “Hand Cannot Erase”. I fiati di Theo Travis incorniciano perfettamente “Transience”, il cui inizio tradisce un fortissimo debito verso i Pink Floyd.  Molto probabilmente “Hand. Cannot. Erease.” aggiungerà un nuovo tassello all’inatteso successo del precedente “The Raven That Refused to Sing”.