“La casa merita di essere visitata, sarà un museo del tutto particolare”. Lo scorso 2 marzo, nel primo dei tre giorni di apertura straordinaria al pubblico (pagante: 8 euro) dell’abitazione di Lucio Dalla a Bologna, un gongolante Virginio Merola ha confermato che sì, la celebre dimora che fu abitata dall’artista verrà aperta a tutti. E sarà, come ha confermato anche Donatella Grazia, cugina del compianto cantautore e presidente della Fondazione che porta il suo nome, un museo anticonvenzionale: un grande spazio che occuperà tutto il piano nobile della casa al 15 di via D’Azeglio e metterà in mostra, rispettando l’identità e lo stile di Dalla, le memorabilia dell’artista, tra cui le tantissime opere d’arte accumulate in vita.
Sulla data di inaugurazione non c’è certezza. Si parla della fine del 2015, ma è solo un’ipotesi. “Vogliamo fare le cose per bene, quindi ci vuole tempo” ha tagliato corto al telefono Donatella Grazia. Il fatto è che da qualche mese l’apertura della casa museo non dipende più solo dagli eredi del cantautore morto nel 2012. Fosse stato per loro, sarebbe dovuta avvenire già due settimane fa. Ma lo scorso ottobre, all’improvviso, si è fatto vivo il ministero dei Beni Culturali e con un tweet Dario Franceschini ha annunciato l’avvio della procedura burocratica per istituire il vincolo di interesse culturale sulla collezione di oggetti appartenuta a Lucio Dalla. “Un patrimonio da non disperdere ma da conservare e valorizzare”.
Avviata la procedura per il vincolo sulla collezione di Lucio Dalla. Un patrimonio da non disperdere ma da conservare e valorizzare. #dalla
— Dario Franceschini (@dariofrance) 11 Ottobre 2014
Invece della porta di casa, il cinguettio del ministro ha fatto aprire il cielo. La scelta delle parole non è piaciuta ai parenti dell’artista, che hanno subito ribattuto che la Fondazione è nata proprio per preservarne il patrimonio e non per disperderlo o danneggiarlo. Immediata anche la contro-replica di Carla Di Francesco, l’architetto a capo della Direzione regionale del ministero, che ha smentito l’idea che il vincolo fosse una punizione ma solo un atto dovuto, che doveva già essere avviato due anni fa se le verifiche post-terremoto non avessero monopolizzato l’attenzione dei funzionari delle soprintendenze.
Fatto sta che il vincolo è arrivato pochi giorni dopo il flop dell’asta di alcuni beni di Lucio Dalla, tra cui comparivano, oltre alla villa siciliana di Milo e alla barca “Brilla & Billy”, anche le mansarde della casa di via D’Azeglio, la cui vendita sarebbe dovuta servire per finanziare le prime attività della Fondazione e l’apertura del museo. Solo la barca è stata venduta; le offerte per la villa e per l’abitazione di via D’Azeglio sono state considerate invece troppo basse rispetto alle richieste di partenza.
Punto e a capo. Fino a oggi, con le acque che sembrano essersi calmate e i toni diventati più edulcorati tra la Fondazione e il ministero. “Lo scorso 2 marzo Franceschini è stato affettuoso e aperto nei nostri confronti e ci ha promesso tutto il sostegno possibile, così come anche il Comune. In quanto Fondazione, siamo sempre aperti all’idea di ricevere finanziamenti, sia da pubblici che da privati. Noi siamo inclusivi con tutti e non esclusivi” ha spiegato al telefono Grazia. Questa inclusione non si estende però a Marco Alemanno, il compagno di Dalla, la cui strada si è separata da quella della famiglia appena dopo la morte dell’artista.
Sono passati tre anni da allora. Il timore – visti i tempi burocratici del riconoscimento del vincolo e la necessità di esaminare uno per uno gli oggetti appartenuti a Dalla – è che quella fissata alla fine dell’anno possa slittare ancora come data di inaugurazione. L’auspicio, invece, è che ci sia collaborazione tra le parti e non si perda tempo inutile. L’apertura del museo non potrà che far bene a Bologna, ai bolognesi e ai turisti che visitano ogni anno la città.
[Foto di Antonio Leggieri]